Regia di Alan Parker vedi scheda film
Oggi voglio parlarvi di quello che, a mio avviso, è il capolavoro par excellence di Alan Parker, Angel Heart - Ascensore per l’inferno.
Certo, Fuga di mezzanotte, Birdy - Le ali della libertà, Mississippi Burning e The Commitments sono film lodevoli, che possono comunque piacere o no, che hanno avuto un importantissimo valore nel suo excursus registico. Ammantandosi perfino dell’aura di cult. E stupisce che Alan Parker, dopo il fallimentare, invedibile The Life of David Gale, è dal 2003 che non gira più un lungometraggio. Un regista assai discontinuo, un autore la cui carriera, dopo vertiginose pellicole interessantissime e, ripeto, quasi leggendarie, è colata a picco in maniera tristemente incresciosa.
Ma qui parliamo di Angel Heart - Ascensore per l’inferno, un’opera straordinaria che, senza se e senza ma, è indubbiamente la sua massima vetta inarrivabile.
E lasciate stare Shutter Island di Martin Scorsese e perfino The Ward di John Carpenter. Angel Heart è il progenitore e, a tutt’oggi, la pellicola migliore in assoluto nella quale la vera identità del protagonista, con uno sfolgorante ribaltamento di prospettiva, soprattutto nell’occhio dello spettatore, viene rivelata soltanto alla fine.
Un whodunit e una detective story di rara raffinatezza, girata con una maestria insuperabile, capostipite di tutti gli M. Night Shyamalan, epigoni ed affini, e dei film appunto col twist rivelatorio prima dei titoli di coda, ove si ribalta l’intero assunto concettuale di partenza, in cui l’intera diegetica della trama viene messa in discussione, sbriciolata e dunque ricompattata di nuovi, eloquenti, affascinanti significanti nella mente, nell’intelligenza e nell’anima di chi, sino a quel momento, s’era illuso di aver introiettato e compreso ogni scena coerentemente alla vicenda visivamente narrataci e poi, invece, è stato piacevolmente costretto, d’obbligatoria analessi retrospettiva, a scandagliare daccapo il tutto, rivedendo o rianalizzando ogni fotogramma sotto un altro sintomatico, inderogabile punto di vista. Un gioco sottile, un marchingegno sofisticato di scatole cinesi e matriosche narrative che c’induce, con lietezza e fascinosa malia, a elucubrare e riconfigurare la totalità della storia da capo a fondo.
Angel Heart - Ascensore per l’inferno, film della durata di 1h e cinquantatré minuti, uscito nella sale italiane il 18 dicembre del 1987. Sceneggiato dallo stesso Parker che ha liberamente adattato il romanzo Falling Angel di William Hjortsberg.
Trama...
Siamo nella nebbiosa, piovigginosa e misterica New York del 1955. Un investigatore privato di Brooklyn, Harry Angel (incarnato da un magnifico Mickey Rourke in una delle sue più riuscite performance di sempre), viene contattato da un losco, sinistro ma ipnoticamente carismatico figuro, Louis Cyphre (Robert De Niro), signore vestito di nero, elegantissimo e dai modi affettatamente persuasivi, al fine d’indagare su un uomo scomparso nel nulla, tale Johnny Favorite, ex cantante di cui s’è persa ogni traccia, che ha un conto in sospeso proprio con Cyphre stesso. Un debito mai saldato, ancora da estirpare...
Inutile che vi stia a raccontare la vicenda nei suoi dettagli e in ogni suo snodo. Il film, più o meno, credo che oramai l’abbiate visto tutti.
Semplicemente, Harry scopre che Johnny è stato dimesso da una clinica psichiatrica dopo il suo arruolamento nella Seconda Guerra Mondiale e il suo successivo ritorno a casa. E da allora nessuno l’ha più visto, neppure le sue due ex amanti, la sua ragazza di colore Epiphany Proudfoot (Lisa Bonet), che forse altri che non è che è sua figlia, e Margaret Krusemark (una tenebrosa e inquietante Charlotte Rampling).
Harry, nella sua detection, si lascia dietro una brutta scia di cadaveri che puzza di zolfo e si succedono inspiegabili morti macabre e orribili. Una cupissima atmosfera magicamente spaventevole respiriamo, noi spettatori, assieme ad Harry lungo l’arco della sua esoterica, cruda indagine enigmatica e diabolicamente perversa.
Fra riti voodoo, magia nera, depistamenti e inseguimenti, una scena di sesso torridissima, sanguigna e sanguinolenta, veniamo trascinati irresistibilmente nelle brame concupiscenti e imputridenti d’una New Orleans sudaticcia e malata. Avvolta da scroscianti piogge torrenziali, oscure, profetiche e sinistre. Tra apparizioni fugaci di uomini e donne spiritate, un’indemoniata città con tantissimi scheletri nell’armadio, dominata dall’ossessiva, languidamente spettrale e fantasmatica ombra di Lucifero che occhieggia beffarda ad aspettare letalmente infernale che Harry scopra la sua terrificante, reale immagine allo specchio.
Un capolavoro di stile, di suspense, di cristallina perfezione formale.
Un film che, alla sua uscita, fu alquanto distrutto dalla Critica mondiale ma che, col tempo, è stato giustamente rivalutato e, ora come ora, è ampiamente considerato uno dei più alti e magnetici murder mystery di tutti i tempi.
Un noir crepuscolare che si tinteggia di raccapriccianti tonalità puramente horror, perturbante, angoscioso, claustrofobico e melodiosamente ansiogeno, incalzante e terrificante, fotografato superbamente da Michael Seresin e scandito dalla stupenda, quasi oserei dire allucinante e allucinatoria colonna sonora del grandissimo Trevor Jones.
Con un Mickey Rourke immenso, il Mickey dei suoi anni migliori, sensuali e rabbiosi, e un eccezionale De Niro al bacio, come si suol dire, in uno dei suoi “cammei” più geniali e giganteschi.
D’altronde era il periodo nel quale il nostro Bob non sbagliava nemmeno un film. E ogni sua partecipazione veniva vissuta come un evento universale.
Tante le scene che non si dimenticano. D’antologia, da cardiopalma.
Chi sostiene ostinatamente che Angel Heart sia un film eccessivamente stilizzato e artefatto, non merita un film così invece suadentemente suggestivo e ardentemente ammaliante.
Un Alan Parker colossale, che non aveva niente da invidiare a Dario Argento, a David Lynch, insomma, ai più alti e innovativi maestri della paura, del delirio e del brivido.
Alan, peccato che poi ti abbiamo completamente perso.
Ma questo tuo colpo è stato ed è eterno, memorabile.
di Stefano Falotico
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