Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
Questa è la storia di un bambino un po’ speciale, di quelli che vengono in genere definiti “borderline” rispetto a quella severissima forma di neurodiversità, che è l’autismo.
Il piccolo Oskar soffre, infatti, come ci viene detto, di “sindrome di Asperger”, espressione del disagio particolare, che investe soprattutto la vita di relazione, nonché il comportamento di chi ne è colpito..
Che cos’ha Oskar di tanto diverso dagli altri bambini? Nulla e tutto: ogni segno della sua “diversità” non indica di per sé alcuna “anomalia”: la somma di ognuno di questi segni e la presenza di altri più inquietanti sembrano invece indizi probabili di malattia.
Ogni bambino, infatti, ha un rapporto privilegiato con uno dei genitori, col quale condivide piccoli segreti o un lessico particolare; oppure crea per sé un mondo fantasioso; oppure ama rifugiarsi in un angolo della casa per stare da solo, sotto il letto, o sotto il tavolo; ogni bambino ha inoltre paure e angosce non sempre razionali. Nella vita di Oskar questi comportamenti si accompagnano, però, ad altri meno diffusi: una logorrea irrefrenabile e ossessiva, per parlare soprattutto di sé; una scarsissima curiosità del mondo e delle persone che lo abitano, nei cui confronti, anzi, prova diffidenza e paura; una terribile tendenza autolesionista, la propensione a classificare cose e fenomeni secondo lunghi elenchi.
Questo bimbo, così problematico ha un rapporto particolare col suo papà, che lo accetta com’è, assecondandone bizzarrie e sogni e anche insegnandogli che la realtà non è così temibile: basta interpretarne gli indizi, per scoprirne i segreti, che se indagati a dovere ci fanno comprendere il mondo: grazie a pochi segni, pertanto, sarebbe possibile risalire addirittura all’esistenza di un fantomatico VI Distretto di New York…
Questo padre, che ha una piccola gioielleria a New York, per puro caso, ha un appuntamento, l’11 settembre 2001, al World Trade Center: sarà una delle vittime dell’attentato alle Twin Towers.
La famiglia, che aveva trovato un modo per vivere con indulgente amore il rapporto con lui, ne verrà sconvolta, così come rischierà di essere per sempre perduto il precario equilibrio del bambino.
Una chiave misteriosa, però, trovata in una busta che reca la scritta Black, emersa dall’armadio degli abiti del padre, sembrerà al piccolo l’ultimo segnale della presenza dell’uomo, quello che egli andava cercando per fare ordine negli eventi caotici e senza senso della sua esistenza: quando troverà la serratura alla quale la chiave era destinata, sentirà di aver ritrovato il padre e sarà, infine, uscito dal lutto.
La sua ricerca, quasi un viaggio di formazione, sarà per un tratto accompagnata da un anziano signore muto, di un mutismo elettivo, dopo la terribile esperienza dei bombardamenti di Dresda. L’assenza della parola non gli impedisce però di comunicare e di parlare col piccolo facendosi benissimo intendere, attraverso la scrittura, efficacissimo suo surrogato.
In questa seconda parte del film, interessante e densa di significati simbolici, il lavoro del regista assume, però, a mio avviso, i toni del patetismo un po' furbo e strappalacrime che poco sopporto, mentre un po' troppo ottimistica mi è sembrata la prospettiva del futuro e di Oskar, se è vero che il piccolo, comunque, soffre di una malattia genetica!
Non ho letto il romanzo di Jonathan Safran Foer, da cui il film è tratto, perciò non sono in grado di fare raffronti: mi limito a esprimere, come è giusto che sia, secondo me, il mio giudizio di perplessità su quell’opera autonoma che deve essere un film, anche rispetto al romanzo che l’ha ispirato.
Notevole prova d’attore del bambino (Thomas Horn), così come quella dell’anziano che lo accompagna nella ricerca, il grandissimo bergmaniano Max von Sydow, che recentemente ci ha lasciati.
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