Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
Le parole di The Hours e The Reader. A voce alta, legate ai romanzi da cui erano tratti, diventano voci e suoni ossessivi in Molto forte incredibilmente vicino. Nell’adattamento letterario più rischioso, quello dal libro omonimo di Jonathan Safran Foer, Stephen Daldry realizza invece il suo film più sfuggente, che frantuma quella rassicurante teatralità del suo cinema precedente. Ci potrebbe essere la meraviglia e il dolore del bambino “spielberghiano”, o la corsa attraverso lo spazio e il tempo di Oskar con la sua chiave. Un bambino di 9 anni interpretato con sorprendente intensità da Thomas Horn, parziale reincarnazione di Billy Elliot (anche qui c’è un contatto tra la dimensione familiare e la città dove vive), che corre senza sosta né meta nelle zone di Forrest Gump di Zemeckis da cui Tom Hanks ritorna qui quasi come spettro. L’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre è una cicatrice persistente, presente anche quando non è visibile, nel pianto disperato di Sandra Bullock, nell’accumulo di dettagli, nei messaggi riascoltati della segreteria telefonica che diventano memoria che non si cancella più al pari dei flashback in cui riprende forma, tra ricordo e desiderio, la complicità tra padre e figlio. Il cinema di Daldry stavolta fa prevalere l’impeto, ha battiti irregolari su cui danza Max von Sydow come una marionetta del Cinema Muto, in un melodramma spesso imperfetto, vissuto soggettivamente anche attraverso frequenti distorsioni di sguardo (azioni, oggetti e personaggi visti attraverso finestre, occhiali, specchi, lenti d’ingrandimento), ma che arriva addosso senza preavviso e trascina via con sé anche tutte le sue scorie.
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