Regia di Stephen Daldry vedi scheda film
E' morto un padre e crollate due torri, ma nel film di Daldry, tratto dal secondo romanzo di Safran Foer, sono i vivi a farla da padroni. I loro variegati microcosmi si accavallano come le memorie del compulsivo Oskar. Sarà un crescere metodico ed ordinato in meticolosa compagnia di un padre che manca da morire, immortalato in delicati altarini e col quale si è in debito per un'ultima telefonata non corrisposta.
Cresciamo anche noi con quel ragazzino cocciuto, elaboriamo i nostri personali lutti ed avremo magari più voglia e curiosità verso il nostro prossimo, quello che sopravvive e che sgomita in metro. Questo il messaggio: guardare avanti - al massimo intorno -, è un bel metodo per ricordare il passato che non è più e vivere di futuro incombente.
Oskar è sensibilmente fobico. La sua elaborazione del lutto non è meno elaborata del suo approcciarsi alla vita, le sue svariate psicosi saranno propedeutiche ad una serie di incontri incredibili che anche noi “sani” e senza apparenti rogne da “elaborare” faremmo fatica a catalogare a consumare.
Noi probabilmente montiamo senza difficoltà su un'altalena, ma vorrei vedermi alle prese con un Max Von Sydow che parla a gesti e frasi scritte su notes, ed io a raccontargli - in una delle clip più fantastiche del film -, la storia della mia esistenza senza lasciar fuori neanche un'emozione.
Avremo sempre qualcosa da imparare.
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