Regia di Iván Zulueta vedi scheda film
“Hai visto il frame rosso? Fermati, non superarlo! Guardalo bene! Vedrai che il frame prima di quello rosso non è come gli altri. Lo vedi? Mi sono alzato e poi… Flash! Sono collassato di nuovo. Era come se avessi visto qualcosa… O qualcosa stava per accadermi. Dieci secondi dopo qualcosa accadde… E dieci secondi dopo accadde di tutto. L'hai notato questo? Guarda bene! È come se la telecamera si fosse rifiutata di fotografarlo. Quando l'ho visto per la prima volta, ho sentito qualcosa di inspiegabile. […] Mi sono sentito un altro. Quella pellicola me l'ha confermato, mi ha restituito la mia forza.”
Josè Sirgado (Eusebio Poncela) è un regista madrileno di film dell'orrore di serie B, giunto alle fasi finali di produzione del suo secondo lavoro. Insoddisfatto del confronto col montatore, fa abulico ritorno a casa, dove trova l'ex-fidanzata Ana (Cecilia Roth) distesa incosciente sul suo letto.
Nell'attesa che il sopore da droga di Ana termini per riversarle addosso il suo livore, Josè scarta un inatteso pacco recapitatogli: il mittente è Pedro (Will More), un bizzarro giovanotto ossessionato dall'idea di filmare in Super8 tutto ciò che lo circonda. Il pacco contiene un'audiocassetta e negativi di una pellicola da sviluppare: ascoltando la cassetta, Josè, già alterato dal consumo di eroina, si inquieta e rivive le due occasioni in cui ha visto Pedro; conosciutisi tramite Marta (Marta Fernández Muro), i due condividono la passione per il cinema, ma i loro dialoghi, forse influenzati dalla cocaina sniffata, verterono su argomenti teorici, criptici, legati al raggiungimento di una particolare estasi mediante la cinepresa. Il secondo incontro fra i due avvenne in presenza di Ana, ma si risolse con una particolare intimità fra i due uomini, che in seguito non si sono più rivisti.
A Josè non resta che ascoltare rapito il nastro ricevuto, far sviluppare i negativi e attendere spasmodicamente il verdetto della pellicola. Con i suoi esperimenti, Pedro ha abbattuto diversi muri…
Secondo e ultimo lungometraggio di Iván Zulueta, a ben dieci anni di distanza dall'esordio, “Arrebato” ha relativa fama di titolo maledetto, non fosse altro per i gravi problemi con l'eroina con cui ha a lungo lottato il suo autore, poi noto come disegnatore di locandine dei primi film del più giovane Almodóvar.
Film forse fin troppo ardito anche per lo scalmanato panorama spagnolo dell'immediato post-franchismo (leggasi movida madrileña), “Arrebato”, pur con presupposti e scopi molto diversi, finisce nei suoi sviluppi col richiamare nientemeno che “Videodrome” di Cronenberg; la durata originale era addirittura di tre ore, ma neanche l'intervento del produttore, che convinse con non poca fatica Zulueta a tagliarne una buona parte fino ai 109 minuti effettivi, salvò la pellicola dal fiasco e dal conseguente anonimato. Effettivamente la visione è ostica, con una narrazione arzigogolata e un glaciale clima di infinita attesa, invero costruito con una certa abilità fino a condurre allo stupefacente finale, in cui l'ossessione per l'immortalità si sublima e il vampiro di turno è una sorpresa metafilmica. Tramite un frame rosso dietro l'altro, la pazzia di Pedro lo conduce all'amata condizione di arrebato, ovvero di rapito in uno stato estatico, mistico, irrazionale.
Interpretato con convinzione dai pochi attori coinvolti (con l'assurda eccezione della Fernández Muro, totalmente inadeguata), “Arrebato” vanta anche una valida ed essenziale colonna sonora, curata da Zulueta stesso e dai Negativo, misconosciuto gruppo punk spagnolo in cui militava Borja Zulueta, il fratello del regista.
Atto d'amore/odio per la droga, per il sesso, per il cinema, più follia sperimentale a sé stante che capolavoro, “Arrebato” è un piccolo testamento di Zulueta, che si auto-rappresenta mediante due anime divise e complementari, ma guarda caso entrambi registi e tossicodipendenti. Parafrasando Cronenberg: gloria e vita alla nuova pellicola!
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta