Regia di Hiroshi Teshigahara vedi scheda film
Il viso di un altro è una maschera applicata sul volto sfigurato di Okuyama, un uomo le cui fattezze sono state cancellate da un incidente sul lavoro. Quella protesi facciale, realistica fin nei minimi particolari, finisce per procuragli una nuova identità: una sorta di fake sociale che gli consente – almeno così crede - di (ri)vivere la propria vita da perfetto estraneo, abolendo i legami col passato, e recidendo quel filo che collega il suo operato al suo nome ed alla sua responsabilità personale. Egli si illude di potersi rendere davvero irriconoscibile, tanto da proporsi alla sua stessa moglie come amante occasionale, per la pura curiosità di vedere la reazione della donna alle sue avances. Il suo piano è una sorta di gioco della verità, in cui si nasconde per spiare gli altri, e potersi finalmente abbandonare ai suoi impulsi, senza timore di essere giudicato. Eppure, contrariamente alle sue aspettative, questa libertà non lo priva del suo io del passato - che rimane intatto sotto il superficiale camuffamento - ed intanto lo allontana dagli altri, poiché rescinde quel fondamentale contratto di fiducia su cui, in condizioni normali, si basavano i suoi rapporti affettivi e professionali. Quell’alienazione che, dopo mesi da uomo bendato, lo ha finalmente restituito alla luce, diventa così una sua dimensione esclusiva ed avulsa dalla realtà, che provoca isolamento, altera i sensi e crea dipendenza, esattamente come una droga. Le sembianze finte si trasformano in una barriera impenetrabile, che chiudono ermeticamente, come in un sarcofago, la sua sensibilità verso il prossimo e, in generale, verso l’ambiente esterno, annullando la sua capacità di provare rimorso e dispiacere. Ad avere il sopravvento è la sua diversità, che non ha più paura di mostrarsi perché si autoelegge a privilegio, diventando il tratto distintivo di chi si convince definitivamente di bastare a se stesso e di non dover rispondere a nessuno. Il delirio solipsistico in cui precipita Okuyama è l’atarassia prodotta dall’illusoria perfezione derivante dall’assenza di termini di paragone, oltre che dalla mancanza di difetti esteriori, che priva l’individuo del marchio della debolezza, e dei necessari promemoria per la modestia e l’umiltà. Questo film descrive il drammatico confronto di un uomo con un autoritratto nel quale non gli è possibile specchiarsi: e per questo lo costringe a reinventarsi, a fingersi altro da sé, fino ad odiare le sue vecchie immagini e tutti coloro che, nonostante tutto, continuano a conservarle nella loro mente. La nuova vita di Okuyama è la rinascita che uccide, perché, nella maschera che gli cambia i connotati, si definisce, contro la continuità e l'autenticità dell'essere, tramite la negazione del passato, e l'occultamento della verità.
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