Regia di Mark Waters vedi scheda film
Liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Richard e Florence Atwater del 1938 (BUR, pp. 195, E 11,90), I pinguini di Mr. Popper attualizza la storia di un imbianchino che sogna di viaggiare portandola ai giorni nostri e ritagliandola su Jim Carrey. Se il protagonista letterario intratteneva una corrispondenza con un esploratore e questo, per dargli un assaggio di natura esotica, gli spediva una dozzina di pinguini, nel film è invece un affarista del settore immobiliare che da tempo si è allontanato dal padre viaggiatore. Il Mr. Potter cinematografico offre ai suoi clienti il sogno di una vecchiaia in giro per il mondo, così che questi vendano i loro terreni a New York, ma non nutre alcun interesse per l’avventura. Siamo nel territorio già noto dell’uomo di successo costretto da fatti esterni a rivedere la propria vita: a Carrey era già capitato, per esempio, in Bugiardo bugiardo, e qui è l’amore dei figli per i pinguini ereditati da suo padre a costringerlo a vivere in modo diverso. Come in Ace Ventura. L’acchiappanimali l’attore americano si trova faccia a faccia con il mondo animale e il produttore John Davis, con alle spalle titoli quali Garfield. Il film e Il Dottor Dolittle, non è certo nuovo a questo tipo di interazioni. Sono state invece una novità per il regista Mark Waters, a proprio agio però con creature digitali come in Spiderwick. Le cronache. Né le rodate professionalità, né la sorniona signora in giallo Angela Lansbury, salvano però una sceneggiatura che, come già Puzzole alla riscossa, si affida troppo alle gag scatologiche (basti dire che una delle creature si chiama Puzzoso e non si limita ai rumori). I pinguini di Mr. Popper inoltre sostiene una forma irresponsabile di animalismo e pure di educazione, per cui il genitore accetta il capriccio dei figli e ospita i pinguini nel suo appartamento (il finalino in Antartide arriva troppo tardi). Gli animali sono in parte ripresi dal vero e in parte generati in computer graphic, ma diversamente da Sansone o Alvin Superstar, hanno aspetto realistico grazie a straordinari effetti speciali. Dopo Avatar, però, l’integrazione tra attore e CGI impressiona ben poco e rimane argomento di discussione per specialisti. Il pubblico può benissimo astenersi.
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