Regia di Luigi Batzella vedi scheda film
Incredibile eros svastika girato in fretta e furia con immagini di repertorio (da Quando suona la campana, film dello stesso regista) e con una brutalità estrema ma messa così male in campo da raggiungere, in più contesti, l'effetto comico involontario.
In una roccaforte occupata dalle forze naziste la dottoressa Ellen Kratsch (Macha Magall) scatena contro giovani prigioniere i frutti di un esperimento genetico che ha dato origine ad una grottesca creatura superdotata (interpretata da Salvatore Baccaro) affamata di sesso e sangue. Nel vicino paese con la collaborazione di don Lorenzo (Brad Harris), un gruppo di partigiani capitanati da Moreno (Alfredo Rizzo) tenta di contrastare il predominio delle forze tedesche.
Dal decamerotico Perdonate padre Lorenzo una ne faccio, cento ne penso (aka Confessioni segrete di un convento di clausura) ai deliranti horror (Il plenilunio delle vergini e Nuda per Satana), passando per il western (Anche per Django le carogne hanno un prezzo): Luigi Batzella (qui si firma Ivan Katansky ma è più noto come Paolo Solvay) non si è fatto mancare alcun genere cinematografico arrivando a lasciare un inconfondibile segno trash anche nel discutibile genere nazi porno o nazi erotico o, meglio, eros svastika; prima con gli Ultimi giorni delle SS e poi con questo delirante La bestia in calore. Dove, come sentenziato da un partigiano sottoposto a tortura in una delle scene più incredibili (le multiple sevizie inflitte a più detenuti in un desolante stanzone), apprendiamo che la bestia citata nel titolo non è quella che ha le fattezze di Baccaro (che fa boccacce, grugni e linguacce più comiche che spaventose) ma la dottoressa (?!) Ellen Kratsch, una Macha Magall che dopo essere già apparsa nel nazi di Bruno Mattei Casa privata per le SS, e pur non avendo la circonferenza toracica di Dyanne Thorne, fa qui palesemente il verso alla Ilsa (già belva delle SS) del ciclo diretto da Don Edmonds.
Ma pur essendo già parecchio discutibile la qualità (nonché il tenore morale) dei film cui si ispira, Batzella rasenta in più occasioni - surclassandolo in tristezza - il cattivo gusto. Intendiamoci: non è da invocare la censura, che libertà di espressione (e di parola) è sacrosanta. Da invocare è la sensibilità (qui dimostrata essere pressochè nulla) dell'autore che non esita (e anzi si compiace) di mettere in mostra scene squallide per concezione: e così si comincia con un lancio di infante all'aria destinato come "tiro al bersaglio" e si prosegue quando (dopo circa un'ora di inutili dialoghi e misere location) le SS si scatenano contro i parenti dei partigiani (in prevalenza ragazze); e a questo punto sembra di visionare, d'improvviso, uno di quegli insani horror brasiliani di Mojica Marins, protagonista Zé do Caixão, con relativa messa in campo di "girone" infernale dove ai condannati tocca subirne di cotte e di crude.
Lo splatter (mal fatto e di pessimo gusto) fa la sua comparsa quando a una ragazza vengono strappate una ad una le unghie mentre un'altra è sottoposta al supplizio del topo: il ratto viene stimolato ad aprirsi una via di fuga - essendo posto sulla pancia di una sventurata - con ausilio di una pentola bollente. Ma il massimo Batzella ce lo propone quando assistiamo al pestaggio di un uomo, completamente nudo, affisso a testa in giù in una vasca piena d'acqua. Come se questo non fosse abbastanza si alternano immersioni forzate della testa a sonore frustate. La bestia in calore, per quanto discutibile nei contenuti, è talmente sgraziato e povero (in un contesto si notano le ombre degli operatori alla macchina) che, invece di raggiungere lo scopo prefisso (dovrebbe essere il disgusto), in più occasioni genera il sorriso: ad esempio nell'agitarsi di Baccaro, celebre caratterista valido per ogni occasione (spesso apparso in commedie sexy), che sembra non distinguere la differenza tra un set tipo 40 gradi all'ombra del lenzuolo (presente nell'episodio con la Fenech dal titolo La cavallona) e questo de La bestia in calore; non di meno le risate sorgono spontanee quando don Lorenzo si scatena in Chiesa e, menando calci e cazzotti a destra e manca, stende 4 o 5 nazisti armati di tutto punto. Il tentativo di chiudere il film in tono poetico, mostrando Gino Turrini che, favoleggiando su un mondo senza guerra si allontana con il bambino tra le braccia, la dice lunga sull'opportunismo di chi ha contribuito a realizzare uno dei più squallidi esemplari del filone eros svastika. La bestia in calore si apre con un grido di donna e una svastica che risalta per due minuti abbondanti sui titoli di testa. Nel simbolo che compare sulla divisa della dottoressa Kratsch l'orientamento rotatorio dei bracci è al contrario: non sarebbe stata una cattiva idea se la cosa fosse voluta. Ma, dato il tenore dell'intera operazione, è lecito sospettare che si sia trattato di una svista.
Curiosità
Diverse scene presentano una tonalità di fotografia differente: si tratta di momenti riciclati da un precedente film di Batzella, Quando suona la campana (1970), che sono poi finiti anche nel coevo lavoro - sempre a sfondo nazi-erotico - del regista: Kaput lager (Gli ultimi giorni delle SS).
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