Regia di Banjong Pisanthanakun, Paween Purikitpanya, Songyos Sugmakanan, Parkpoom Wongpoom vedi scheda film
Cinque episodi di Thai horror, legati dai motivi ricorrenti dello spiritismo, degli incidenti stradali, e … dei cellulari. Una pietanza non sopraffina, ma certamente non del tutto insapore per chi ha apprezzato le serie tv dei Masters Of Horror, con cui il film ha in comune la disomogeneità di stile e di qualità cinematografica, che conferisce all’insieme il non trascurabile pregio dell’imprevedibilità. Il livello dei singoli segmenti varia dall’imbarazzante (per il quarto) al buono (per il quinto); e, soprattutto nella prima metà dell’opera, si respira la rilassante aura della medietà, che ripropone il già visto con il rassicurante garbo di una confezione curata esteticamente, ma senza pretese di autorialità. La patinatura televisiva, pensata certamente al fine di rendere il film esportabile, soffoca completamente il carattere esotico, che rimane allo stadio di un vago accento appena percettibile sotto lo strato di vernice occidentale. Il discorso vale soprattutto per l’episodio conclusivo, che sembra smaccatamente ispirato alle sitcom adolescenziali di stampo hollywoodiano, ed è parzialmente debitore allo spirito goliardico e alla goffaggine dei nerds: una commedia degli equivoci nel registro di un fumetto, che ironizza con semplicità sull’arte (?) di girare film horror di successo. Questo Phobia 2 non è certamente un boccone per chi ha fatto il palato ai classici europei del terrore: qui, infatti, la paura, anziché nutrirsi della tensione con cui l’individuo va incontro al mistero, è fatta di un colorito impasto di realismo ed onirismo, che sfiora la dimensione religiosa (vedi, soprattutto, i primi due episodi, incentrati su temi legati al buddismo) e non trascura mai quella morale (vedi il terzo ed il quarto episodio, in cui la vendetta è la causa scatenante dei fenomeni soprannaturali). L’orrore è, in questo senso, un concreto canale di comunicazione tra il mondo terreno e l’aldilà, e dà vita a favole forse troppo esplicite e spiegabili per poter aspirare alla dignità del racconto romanzesco: quello a cui siamo abituati noi, dalle nostre parti, e che mescola elemento giallo e romanticismo, perché proviene dalle pagine di un libro, e non si accontenta, semplicemente, di nascere, sotto forma di immagini ed azioni, nella piatta cornice dello schermo.
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