Regia di Giuseppe Gagliardi vedi scheda film
Chi non ricorda la celebre scena di “Balla coi lupi”, quando Kevin Costner, inginocchiato di fronte a Vento nei Capelli e al Capo della Tribù, cerca di mimare la parola “bisonte”? E Il “Tatanka” dell’epoca ritorna in un altro titolo, insospettabilmente italiano, e altrettanto inaspettatamente si trova lì a descrivere il soprannome dato a un personaggio un po’ schivo, e tuttavia determinato, che tira pugni fortissimi.
Il suo nome è Michele (interpretato da Clemente Russo) e, fin da adolescente, la sua esistenza è legata a doppio filo con quella della camorra. Il quartiere di Marcianise dove vive è infestato da malavitosi senza scrupoli che uccidono, spacciano e reclutano piccoli servetti anche per comandargli i lavori più sporchi. Rosario, un amico di Michele, è uno dei garzoni più intransigenti, e conduce Michele in una spirale criminale di non ritorno.
C’è tutto quello che possiamo immaginare in “Tatanka”: indelicatezze visive (le scopate in palestra, nelle saune, negli spogliatoi o in spiaggia, come prurito maschilista a svuotare i coglioni dai troppi pensieri “difficili” che invadono la mente di persone umili evidentemente descrivibili solo come bestie) pronte a comprare la simpatia di quegli occhi a mezz’aria di platee giovanissime, sospesi nell’incanto delle vicende di un Omm'è Merd' qualunque scambiato per eroe (eh sì, perché non è possibile stare dalla parte del bisontuccio, quando questi non si accorge per oltre un’ora di far parte di un’alleanza che lo sostiene a furia di ruberie e delitti); ruffianerie di un implacabile sottofondo musicale, che prima accarezza l’animo proponendo, anche se fuori luogo, "Gymnopedie" di Erik Satie, e poi riempie le scene più intime con un assurdo e tambureggiante ritmo sincopato per cercare di tener sveglio lo spettatore (evidentemente ultima risorsa per catturare l’attenzione).
Dispiace perché poteva essere finalmente l’occasione per distaccarsi da quella produzione ordinaria che spesso è assimilabile a quella nazionale. Il film sarebbe da bocciare in toto, se non fosse per l’intrigante montaggio organizzato da Simone Manetti.
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