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L'isola nuda

Regia di Kaneto Shindô vedi scheda film

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La recensione su L'isola nuda

di alan smithee
10 stelle

Uno scoglio suggestivo in mezzo al mare, poco distante da una costa frastagliata di colline verdeggianti e visivamente seducenti, riprese da una efficace veduta aerea che ne esalta la bellezza. Le stagioni della fatica umana per sopravvivere, per assicurarsi il minimo sostentamento in un paradiso altamente scenografico che non concede tuttavia alcun momento di serenita' e di sosta ad una famiglia di contadini che la abita, costretti come sono a fare la spola continuamente da e verso una terraferma cosi' vicina ma cosi' lontana e raggiungibile a fatica, con una piccola imbarcazione mossa da un remo posto sulla poppa. Marito, moglie e due bambini, di cui uno gia' in eta' scolare, in un continuo incessante va e vieni per approvvigionarsi di acqua per un consumo non tanto umano, bensi' per l'irrigarazione ad una ad una delle piantine appena spuntate, che solo in questo modo contribuiranno a creare il minimo di raccolto che assicuri il sostentamento a tutti e quattro. Una vita di fatiche, dove ogni membro della famiglia e' un tassello indispensabile per il funzionamento di un ciclo di vita che non prevede soste, se non la sera, quando sfiniti i quattro individui si immergono ad uno ad uno (anzi i due bambini assieme e per primi) nello stesso catino (con la stessa preziosa acqua ovviamente) ove faranno il bagno, mentre la penombra cala sulla baia e da lontano si illuminano le luci della citta' sulla riva opposta.. Persino nella stagione delle piogge i due coniugi sono in barca a raccogliere le alghe che, stese sulla stiva per levarsi di dosso il salino, verranno in seguito impiegate per la fertilizzazione della collinetta sulla sommita' dell'isola ove sono concentrati i raccolti. E poi la fatica nel caricarsi sul dorso otri d'acqua pieni fino all'orlo, camminare per ripidi tratturi sul ciglio dell'abisso rischiando di inciampare, fino a disperdere talvolta nonostante l'attenzione un po' di acqua preziosa e  ricevere l'inevitabile punizione dal capo famiglia per una legge quasi divina per cui non e' permesso sbagliare o fare passi falsi; un castigo che brucia piu' moralmente che fisicamente ma che tuttavia fa comunque molto male.
Sono le regole inviolabili della fatica e della terra, un paesaggio ammaliante che tuttavia non concede momenti di quiete al contadino e che ricorda, con i suoi pendii scoscesi, il suo marcato dislivello sotto forma di colline dolci ma poco concilianti per un'agricoltura intensiva e professionale, la morfologia complessa del mio Ponente Ligure: le fasce arroccate sull'abisso, il lavoro e la fatica dei nostri antenati, dei miei nonni, mai ripagati sufficientemente da soddisfazioni che potessero tradursi in un vantaggio o una ricchezza immediati.. Kaneto Shindo, maestro cinematografico giapponese troppo poco noto nel nostro paese, e da poco centenario, gira un falso documentario che racchiude una narrazione quasi frenetica, escludendo solo il ricorso al dialogo; perche' il contadino non deve parlare ma agire, lavorare la terra, curare fino alla fine il suo raccolto proteggerlo dalle mille incognite legate alla metereologia e al destino avverso..
Un film capolavoro che ricorda certamente l'altrettando splendido "L'uomo di Aran di Flaherty del '34 o l'esordio stupefacente del maestro portoghese Manoel de Oliveira con "Douro faina fluvial", addirittura del '31.
Tre grandi cineasti alla prese con un racconto che vede l'uomo combattere per la sopravvivenza, per piegare a suo vantaggio una natura ostile o difficilmente addomesticabile.
Un film memorabile.

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