Regia di Kenneth Anger vedi scheda film
Rifacendosi al titolo del suo film del 1947 Fireworks (dove il fuoco d'artificio aveva valenze erotiche), nel 1953 Kenneth Anger (o semplicemente Anger) crea Eaux d'artifice, con un gioco di parole di elementi opposti. Qua non siamo più in un luogo chiuso che diventa un generico vuoto oscuro, ma siamo introdotti nel magnifico giardino di Villa d'Este a Tivoli, in un luogo aperto-chiuso, soprattutto però cangiante e misterioso, un posto che visto con gli occhi di Anger diventa un mondo a sé, un intrigo di vialetti tra le piante e un tripudio di giochi d'acqua (l'acqua d'artificio), ossia in un microcosmo magico modellato dall'ingegno umano, dove la rappresentazione barocca - che prevale nel film fin dai titoli di testa e sull'incontro multiforme degli stili secolari di Villa d'Este - filtra nell'immagine, come le inquadrature selezionano i particolari dei getti d'acqua risaltandone la materia ma che così appare un'entità ideale e astratta, un arabesco volteggiante di forme geometriche; come gli esseri viventi e inanimati (tra cui i volti di pietra) si confondono e si contrappongono; come gli stessi volti delle sculture scrutano mentre la figura femminile in abiti settecenteschi (C. Salvatorelli) vaga titubante e non ne vediamo mai il viso, ma solo la sagoma che risalta come una macchia nei riflessi di luce; come questa stessa donna (una artista del circo procurata da Federico Fellini), sempre più concitata, si fonde nel fluido equoreo contro lo schermo, annullandovisi; come i ricami del vestito fluttuano al pari dei getti e degli svolazzi; come L'autunno e L'inverno di Antonio Vivaldi trapassano i tempi e le corrispondenze emotive; come, infine, il blu vira il bianco e nero di base e un ventaglio giallo (dipinto a mano) luccica e buca lo sguardo per un attimo. 10
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