Regia di Luis Buñuel vedi scheda film
Fresco di acquisizione della cittadinanza messicana, Bunuel gira il suo secondo lungometraggio, dopo Gran casino del 1946; in seguito sosterrà di non aver licenziato un capolavoro, ma di aver comunque imparato molta tecnica realizzando questo film. Che, peraltro, ebbe anche un discreto successo di pubblico, lanciando la carriera del regista in terra centramericana. La star del film era comunque già di per sè una garanzia di richiamo: Fernando Soler, il protagonista, veniva da circa trent'anni di esperienza sul set e la sua caratterizzazione è solida e convincente. Il merito è sicuramente anche della sceneggiatura (Janet e Luis Alcoriza) che dipinge un quadretto di famiglia borghese - materiale che ben presto diverrà pane quotidiano per i denti del regista - decisamente fuori dall'ordinario, sebbene profondamente realistico: un padre-padrone che detta legge finchè il denaro (=potere) glielo permette; una scarsa o nulla influenza femminile sulle decisioni di casa; un'idea repellente del concetto di 'lavoro'. Tutta roba che Bunuel assimila, pronto a rielaborare la materia per i suoi futuri lavori; colpisce (e certo non in positivo) la scelta un po' forzata di far approdare i protagonisti a un lieto fine che non rispecchia il tono lievemente satirico della storia. Il regista è anche impegnato nella produzione del film. 6/10.
Ramiro, possidente di mezza età e fresco vedovo, decide di scialacquare tutte le sue sostanze ubriacandosi. I parenti, ben contenti di prender parte alla bella vita con il denaro di Ramiro, lo assecondano; tutti trane uno: un fratello medico, che convince l'uomo di essere prossimo alla bancarotta. Tutto cambia drasticamente e anche il pretendente della figlia ci ripensa...
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