Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Dreyer ai suoi esordi fece anche commedie. E non se la cavava affatto male, come dimostra questa Vedova del pastore, un quadretto buffo sulla crescita (soprattutto morale) di un ragazzo che al termine delle vicende sarà finalmente e felicemente diventato un uomo. Forti caratterizzazioni, con una bella coppia di protagonisti (il pastore Sofren, Einar Rod, e l’anziana vedova Margarete, Hildur Carlberg) ed un contorno di volti memorabili, dai bifolchi stralunati che circondano la canonica di Sofren ai suoi rivali-aspiranti pastori, al centro di una scena comica degna di Chaplin in cui le prediche dei due finiscono per fare addormentare o per agitare i parrocchiani. Solamente settanta minuti di durata, per una sceneggiatura scritta dal regista stesso e tratta da un’opera di Kristofer Janson ambientata in un villaggio norvegese nel diciassettesimo secolo; rimane impressa anche la dissolvenza finale a forma di crocifisso, come una sorta di benedizione al matrimonio fra i due giovani. Un’opera sicuramente ‘leggera’ per gli standard del regista, ma comunque carica di spunti e di riferimenti facilmente applicabili alla contemporaneità. 6,5/10.
Il vecchio pastore muore e viene rimpiazzato, nella parrocchia locale, da un giovane scelto dalla vedova; il ragazzo porta con sé la sorella, che in realtà è però la fidanzata. Ma la bisbetica vedova ora vuole sposarsi con il nuovo pastore; lui acconsente, poi fa di tutto per rimanere a sua volta vedovo e sposare in seconde nozze la fidanzata.
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