Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Secondo film norvegese per Carl Theodor Dreyer dopo "La vedova del pastore". Probabilmente un'opera minore nella sua ricca filmografia, ma questa versione nordica di un amore contrastato, quasi alla "Romeo e Giulietta", merita di essere riscoperta almeno dagli ammiratori del regista, fra cui mi inserisco anche io.
Tore è un contadino volenteroso ma povero che ama Berit, da lei ricambiato; al loro idillio si oppone il padre della ragazza che vuole darla in moglie a Gjermund, il figlio di un ricco possidente. Quando il padre acconsentirà infine al matrimonio di Berit con Tore, Gjermund pazzo di gelosia creerà una grave situazione di pericolo per il ragazzo, ma alla fine il matrimonio potrà essere celebrato al cospetto di Dio.
La trama non presenta elementi di particolare originalità, ma si sente comunque la sincerità dell'ispirazione del regista, derivata anche in questo caso da una fede protestante intensamente sentita secondo la quale l'amore ha una natura divina che non deve essere assolutamente ostacolata. Dreyer sa valorizzare anche in questo film l'elemento agreste e paesaggistico e merita, in particolare, l'applauso per la concitata sequenza dell'attraversamento del fiume da parte di Tore e il suo annegamento mancato per un soffio tra le rapide: sequenze che hanno un ritmo trascinante grazie al montaggio piuttosto serrato per essere un film muto. Sugli attori non saprei esprimermi più di tanto, ma posso dire che si ritrova nella recitazione quell'impressione di naturalezza che caratterizza altre opere mute di Dreyer, se si eccettua la celebre "Passione di Giovanna d'arco" dove anche gli attori concorreranno alla geniale stilizzazione espressionista che lo caratterizza. Molto positivo anche il ruolo della donna, che qui è sempre oppressa ma meno succube e rassegnata di altre eroine dreyeriane e lotta con tutte le sue forze per far trionfare la sua legittima aspirazione all'amore.
voto 7/10
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