Regia di Carl Theodor Dreyer vedi scheda film
Uno dei primi lavori firmati da Dreyer, che cura anche la sceneggiatura, tratta da un testo di Jacob Breda Bull, autore norvegese a cavallo fra Ottocento e Novecento. Il regista danese veniva dal suo primo successo effettivo, cioè Il padrone di casa (anche L’angelo del focolare, 1925), ed ancora si permetteva una produzione a cadenza ravvicinata; negli anni successivi diraderà le uscite delle opere, ma già le linee del suo cinema sono trattate: un quieto minimalismo delle immagini cela una complessità di argomenti più o meno sottintesi, non ultimo dei quali è la questione celebrata nella didascalia finale della pellicola, ovvero quella secondo cui l’amore, in quanto manifestazione divina, non andrebbe mai ostacolato. C’è inoltre un saporito quadro della società rurale del nord Europa di quel periodo, con la netta contrapposizione – tipica in Dreyer – fra una mentalità più spiccia (quella dell’arrivista padre della ragazza) ed un’altra più conciliante (il padre del ragazzo), entrambe impegnate in una lotta che si risolverà solamente con un’unione pacifica fra le due opposte fazioni, non tanto nel nome del compromesso, quanto in quello della comprensione reciproca e di una spontanea empatia umana. Un discorso molto meno religioso di quanto in apparenza potrebbe sembrare. Da segnalare che anche questa Fidanzata di Glomdal (come già per C’era una volta, del 1922) ha subito pesanti rimaneggiamenti e la perdita di alcune sequenze, percui si mostra oggi in una versione parzialmente integrata da didascalie; il seguente lavoro di Dreyer sarà il noto (e rinomato) Giovanna D’Arco (1928). 6/10.
L’amore fra due figli di contadini è impedito dal padre di lei, che la vorrebbe sposa ad un pretendente benestante; la ragazza fugge e trova rifugio nel podere della famiglia del ragazzo. Ci si mette di mezzo anche il vicario locale, che riesce a sbrogliare piano piano la matassa.
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