Regia di Masahiro Shinoda vedi scheda film
Il mondo è buio, ma algide lame di luce illuminano la condizione umana. Masahiro Shinoda, assistente di Ozu, utilizza l’inchiostro di china per tracciare i contorni di un noir in cui freddezza e intensità sono le componenti di una nitidezza spenta, ma carica di verità meditate. La tragicità della colpa, dell’espiazione, del pericolo, è sospesa in un’atmosfera in cui le emozioni sono raggelate dai prodotti finiti del pensiero, che si posano sui volti come un chiarore spettrale. L’esistenza è attesa che si compia la certezza del destino, che asseconda docilmente le strategie criminali della yakuza e le combine degli scommettitori. La vita procede come un gioco d’azzardo, senza motivo né traguardo, perché è una mania inveterata, che diventa un naturale meccanismo di sopravvivenza. Il tempo è scandito dal ritmo uniforme delle partite a carte, che è un ripetitivo invito a rischiare, immutabile perché insensibile all’alternarsi di vittoria e di sconfitta. Ogni esito, del resto, risponde alla necessità che tutto abbia una fine, dalla quale poter risorgere sempre uguale. Insaziabile è la voglia di Saeko di puntare somme sempre più forti, e per lei vincere o perdere è una delle tante regole del gioco. Muraki, uscendo di prigione dopo tre anni, avverte che nulla, nel mondo, è cambiato, perché l’assenza di senso è una caratteristica eterna. Ogni cosa obbedisce all’ineluttabilità delle azioni che, semplicemente, vanno compiute. Impossibile scavare dentro le persone e la stessa vita, perché l’essere umano è il plastico involucro del vuoto, una pedina rigorosamente modellata sullo spazio che andrà ad occupare. L’organizzazione è severa, e non c’è posto per la dolcezza, se anche l’amore è fatto di accordi e di finzioni, e la nascita di un bimbo ha il rude connotato di una cambiale in scadenza. In questo film la mafia è lo schematismo che si sostituisce alla gioia, e che ammette come unica alternativa la cupa follia della dipendenza dalla droga. La strada principale è stretta, umida e ombrosa, ma è costeggiata da vie laterali nelle quali l’oscurità è fitta, e dove si sparisce senza un perché. L’impianto urbano dei quartieri popolari, che, per Ozu, rappresentava le dentellature della vita di comunità, diventa qui un reticolato di ambienti segreti, che catturano, ciascuno, un diverso frammento di un fatalismo senza speranza, né fantasia. Un action movie può essere statico ed esanime, se i movimenti dei suoi personaggi non partecipano al palpito della tensione, bensì seguono passivamente gli anonimi scatti di un grande ingranaggio. La storia, intorno ad ognuno di loro, si apre e si chiude come a comando, coprendo e scoprendo, sul tavolo, le tessere del Koi Koi, le cui combinazioni determinano le alleanze e le rivalità. La vendetta è una missione priva di visceralità, se non per il giovane ed immaturo Reiji, a cui la rituale amputazione del dito insegnerà l’equilibrio della sottomissione. Kawaita hana significa fiori secchi: figure artisticamente composte nella loro mancanza di linfa vitale, ed abbracciate senza trasporto in un disegno contegnosamente immobile.
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