Regia di Wallace Worsley vedi scheda film
Una tipica scena di The Penalty. Nel giro di pochi secondi il volto plastico di Lon Chaney passa dal ghigno criminale al dolore profondo e segreto per un subitaneo ricordo d’infanzia, a un altrettanto improvviso scoppio di ira funesta: « Quando avro’ finito con il dottore e sua figlia, allora sapranno che sono il diavolo in persona! » Nel 1920, Chaney aveva già girato un centinaio di film, per lo più andati persi. Le grandi prove attoriali erano ancora di là da venire, ma il regista Wallace Worsley era chiaramente consapevole del materiale espressivo con cui aveva a che fare. I primi piani di Chaney si sprecano, non lasciando dubbi su chi sia il perno del film. Ma non c'è mica solo il volto. Il Blizzard di The Penalty rientra a pieno titolo nella sequela di personaggi orridamente sfigurati o menomati, la cui interpretazione suscita ancora, a quasi cent’anni di distanza, un rispetto reverenziale che non oseremmo più attribuire a tante celebrità del muto. Blizzard è il capo di una gang criminale a cui da ragazzo sono state amputate le gambe per errore. Gli arti inferiori si interrompono all’altezza delle ginocchia, che appaiono chiuse da una specie di gambali di gomma scuri, e il protagonista trascina sulla scena il suo corpo mutilo servendosi di stampelle. L’effetto è ancora oggi strabiliante (ma dove le avrà cacciate le gambe?) e non è difficile immaginare la reazione di orrore del meno smaliziato pubblico degli anni ’20, al punto che - narrano le cronache di Hollywood - la produzione chiese a Chaney di girare una specie di appendice pubblicitaria per mostrarsi nella sua interezza, gambe e tutto. Come nei capolavori successivi (Lo sconosciuto, Quello che prende gli schiaffi, Notre Dame de Paris, solo per citare qualche titolo) anche qui Chaney dipinge con maestria una sottilissima linea di demarcazione tra la perfidia allo stato puro e l’umanità che, nel profondo, si cela in ognuno dei « suoi » mostri. Parallelamente, incute nello spettatore un duplice sentimento di ripulsione e pietà, di cui non è facile trovare esempi nel cursus honorum delle generazioni di attori a venire. Ma in The Penalty le invenzioni narrative abbondano: dalla ragazza che accompagna Blizzard al piano infilandocisi sotto e muovendo i pedali con le mani, allo stesso Blizzard che si arrampica con agilità scimmiesca su un muro a pioli fino alla finestrella da dove spia le operaie che lavorano per lui, a una rovinosa caduta a terra dopo aver perso le grucce, alla maschera di rabbia incontenibile che si disegna dopo una dichiarazione d’amore non ricambiata, e l’elenco potrebbe continuare. Peccato che Blizzard, Blizzard il malvagio, il diverso, non possa, per i canoni estetici del cinema americano degli anni ’20, sopravvivere in qualche nicchia segreta nella società, e peccato anche che il cinema di quegli anni badasse a tutti i costi a rassicurare il pubblico sull’unica sorte possibile per un tale essere demoniaco. Come tutti i diversi a cui Chaney ha prestato le sue straordinarie sembianze, anche Blizzard è destinato a soccombere, e fin qui niente di strano. Ma in The Penalty c’è come una doppia morte, giacché, prima di essere ucciso da un uomo della sua vecchia banda, Blizzard subisce una specie di lobotomizzazione ante litteram e, udite udite, diventa buono. Sennonché, da buono, Chaney è ancora più inquietante che da cattivo. E guardando quel volto ormai divenuto angelico è come se a noi spettatori mancasse un pezzo del puzzle. Ci aspettiamo sempre che, da un momento all’altro, Lon Chaney ricominci a ghignare orribilmente.
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