Regia di Cristi Puiu vedi scheda film
Dante Remus Lazarescu (Ioan Fiscuteanu) è un uomo di sessantantatre anni che vive da solo in un appartamento malmesso. E’ vedovo, la figlia Bianca si è trasferita per lavoro in Canada e a fargli compagnia sono tre amorevoli gatti che gironzolano indisturbati per la casa : Nusu, Fritz e Mirandolina. Una mattina, il signor Lazarescu si sveglia con un fastidioso mal di testa. La sera, dopo che anche la pancia ha iniziato a dare dei fastidi che lui lega ad una vecchia ulcera operata qualche anno prima, si decide a chiamare l’autoambulanza. Dopo circa mezzora arriva l’infermiera Mioara (Luminita Gheorghiu) che dopo aver appurato la gravità delle condizioni di salute di Lazarescu lo porta al primo ospedale disponibile. Ma la situazione dell’uomo non viene trattata subito con l’urgenza che richiederebbe, anche perché Lazarescu emana un evidente odore di alcool e quelli che lo visitano legano subito al bere il suo malanno. Tutti si sentono in diritto di fargli la morale, ma nessuno lo ascolta per davvero. Poi è successo che quasi tutti i medici sono indaffarati perché un grave incidente automobilistico che ha coinvolto un autobus scolastico ha fatto arrivare negli ospedali di Bucarest molti feriti gravi. Inizia quindi per il signor Lazarescu un calvario tutto suo che lo porterà a vagare per diversi ospedali della capitale rumena.
La morte del signor Lazarescu - Scena
“La morte del signor Lazarescu” di Cristi Puiu è un film che si appiccica allo scorrere naturale del tempo con devota partecipazione emotiva. Nulla è lasciato al caso, quello che vediamo è esattamente ciò che occorre vedere per capire qualcosa in più sull’uomo e sulla società rumena nel suo complesso. Il signor Lazarescu non è solo un uomo a cui occorrono delle cure ospedaliere tempestive, ma anche un corpo che produce un dolore concreto e che del passato conserva delle cicatrici mai guarite del tutto. É un film importante all’interno della fervida vitalità del cinema rumeno contemporaneo, mosso dall’urgenza di raccontare lo stato presente delle cose senza mai tralasciare l’analisi sulle cause che l’hanno prodotto. Un cinema che da piena centralità alla dialettica del campo-fuori campo, tra ciò che vediamo mostrato con un realismo che talvolta rasenta la forma documentaria (come in questo caso) e ciò che dalle immagini traspare ben oltre la loro evidenza esplicita, come la sostanza implicita del dolore corporale del signor Lazarescu, o quello che si è irrimediabilmente corrotto dell’anima del paese.
Dietro ad un titolo che presupporrebbe un triste epilogo per la sorte del signor Lazarescu, il film di Cristi Puiu sottindente una morte molto più ampia : quella civica che riguarderebbe un paese intero ancora alle prese con la ricerca delle sue migliori coordinate. Un paese a cui basta un tragico incidente stradale un po’ fuori dall’ordinario per far entrare in crisi l’intero comparto ospedaliero della capitale, a far si che ogni “altro” paziente che arriva al pronto soccorso venga considerato come un ospite indesiderato, “arrivato nel momento meno opportuno”, quando un’emergenza più grande può servire a giustificare l’indifferenza e il rimbalzo di responsabilità per un paziente da poter dirottare volentieri altrove. La debolezza fisica del signor Lazarescu tende a coincidere con quella di un intero paese, la sua malattia si fa specchio delle carenze ospedaliere che emergono lungo il suo personale calvario. Cristi Puiu è stato bravo a far emergere questo rapporto speculare in una maniera molto sotterranea, facendo della ripetizione di alcune formule narrative lo scandaglio per andare ben oltre la superficie. Ogni medico finisce per interessarsi professionalmente al caso di Lazarescu, ma ognuno di loro dimostra una scarsa propensione a coordinare la propria diagnosi con quella dei colleghi, subordinando l’urgenza di un caso che necessiterebbe di un pronto intervento alla volontà di dar corso alla prassi ospedaliera di iniziare daccapo tutto il processo di investigazione del paziente. Col risultato che, dopo le solite litanie sulle generalità dell’uomo, l’ulcera operata quattordici anni prima, l’unica sorella in arrivo da Targu Mures, il mal di testa tremendo che tutti sembrano inizialmente ignorare e le paternali sul suo vizio di bere, c’è sempre qualcosa che si dovrebbe fare con una certa urgenza ma che l’ospedale di turno è impossibilitato a poter fare.
Il ripetersi continuo di frasi sempre uguali ha l’effetto di generare una sorta di vuoto pneumatico intorno al solitario destino del signor Lazarescu, che prima di essere considerato come un paziente che avrebbe il diritto di ricevere delle cure, viene valutato come un utente che va ad ingrossare il numero delle persone da tenere in reparto. Il signor Lazarescu è solo con un male che gli sta consumando poco alla volta le forze vitali, che gli corrode le parole, la lucidità ancora vigile. Viene fatto sentire in colpa per il fatto di bere, come se questa colpa attribuitagli con contorno di morale servisse ai medici per assolvere la loro fastidiosa pigrizia. In uno spazio che avverte come straniero perché non lo ha accolto come un cittadino a cui si dovrebbe garantire un servizio sanitario adeguato, uno spazio dove la competenza medica è soffocata dalle carenze delle strutture e dove la solidarietà verso i malati è prosciugata dagl’iter procedurali della burocrazia ospedaliera. Va tuttavia precisato che Cristi Puiu non ha voluto raccontarci una storia di “ordinaria” malasanità, ma mostrarci, tra le pieghe della triste storia di Lazarescu, quel qualcosa di concreto ed indefinibile insieme che si frappone tra il tentativo di diventare dei cittadini migliori e l’impossibilità di esserlo per intero. Detto altrimenti, il signor Lazarescu non è vittima dell’indifferenza causata dal cinismo di medici insensibili, ma di un sistema paese che produce indifferenza a causa delle sue endemiche inefficienze. Il lassismo civico alberga dove più larghe sono le maglie delle pratiche illegali tollerate. Un aspetto questo reso evidente da una messinscena che rasenta il documentarismo tanto la durata del film aderisce al tempo impiegato per lo sviluppo della storia, con poche ed insignificanti ellissi temporali a dilatare il tempo della finzione filmica rispetto a quello effettivamente catturato dalla macchina da presa. Si segue con certosina puntualità tutto il calvario ospedaliero di questo uomo malconcio, fino a generare un’immedesimazione pressochè totale per la sua sorte, non con la malattia però, che conserva una sua irripetibile unicità, ma con la sua condizione di debolezza, comune a quanti possono opporre solo delle proteste inascoltate contro la presuntuosa arroganza dei più forti. Cristi Puiu tiene sempre stretta l'inquadratura, costringendoci ad appuntare l'attenzione sulla sorte di Dante Remus Lazarescu, a concentrarci sul suo corpo minato dagli anni e dagli eccessi, un corpo che conserva una sua dignità anche quando non risponde più agli stimoli della mente. Un corpo che genera rabbia più che pietà, indignazione più che compassione. Un moto di rabbia repressa che trattiene a stento le lacrime. Grande film e grande cinema.
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