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Otto; or, Up with Dead People

Regia di Bruce La Bruce vedi scheda film

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La recensione su Otto; or, Up with Dead People

di alan smithee
7 stelle

locandina

Otto; or, Up with Dead People (2008): locandina

 

Otto è un ragazzo che si risveglia dal sonno della morte e prende a camminare, incespicando e senza sapere dove si trova. Una coppia di anziani caritatevoli lo scorta sino in città, dove inizia a vagare senza meta, trovando rifugio in un parco semi abbandonato. Per caso viene in contatto con una stravagante regista che da tempo tenta di ultimare il suo bizzarro film sulle discriminazioni, sessuali e zombesche, e ne diviene il protagonista principale, imparando ad accettarsi, lui non morto mite ed ex vegetariano, che, in quanto tale, non riesce moralmente a concepire di fagocitare il genere umano, accontentandosi di piccoli animali o scarti di macelleria.

Man mano che trascorrono le giornate, Otto imparerà a trovare indizi sulla sua vita precedente, sul suo ex fidanzato, e su come comportarsi in mezzo ad una società che sa solo discriminare e segregare.

A metà strada tra cinema e videoclip, come gran parte dell'avventura cinefila dello stravagante regista, Otto anticipa il tema del contagio più ampiamente sviluppato nel successivo L.A. Zombie, che ne aumenta a dismisura, forse in maniera sin incontrollata, le tematiche porno riducendone, a mio avviso, le potenzialità e lo stile per svilirsi in un porno d'autore certo ironico e dotato di una storia, ma comunque affievolito da numeri ed intrecci sessuali che si ripetono sino all'eccesso. Laddove invece questo predilige più ironicamente e meno trivialmente soffermarsi sull'aspetto sociale e emotivo, lasciando il gusto spazio a ad accenni di performance erotiche degne del regista che ne porta la firma.

Si anticipano qui le ossessioni della penetrazione, esercitata su carni lacerate dai morsi famelici delle belve non-morte, ma si tratta solo di accenni perché il discorso viene presto deviato su altri binari più alti. Bizzarro, curioso, militante, stravagante, con quei personaggi di contorno irresistibili tra cui primeggia la fidanzata in bianco e nero della regista Medea, eternamente imprigionata in una bolla senza colori di un cinema degli albori dal quale non riesce o no vuole uscire, condizionando dalla sua visuale il mondo circostante ed i protagonisti che la avvicinano.

Ma anche l'ossessione della regista di estrapolare da ogni situazione che ella inquadra, una tematica inerente ingiustizie e l'accanimento per la tutela delle minoranze: problematiche che la cineasta si sforza di spiegare ad Otto, che invece la guarda catatonico perso nella sua eterna meraviglia inespressiva di pura fissità, perso a riflettere su pensieri meni elementari ma forse più puri e genuini: anche in questo fine sarcasmo sta la forza di un piccolo film che si lascia ricordare ed apprezzare.

 

 

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