Regia di Bahman Ghobadi vedi scheda film
Kurdistan, regione che è di frontiera per antonomasia ma non racchiude in sè alcun mito.
Anzi.
Tra Iran e Iraq ,nel bel mezzo di un desolato paesaggio lunare in cui la terra è particolarmente ingenerosa si consumano le storie di bambini ai quali sono stati rubati i beni più preziosi: l'infanzia e l'innocenza.
Al loro posto solo orrore.
Organizzati in una specie di campo rifugio ai margini di un villaggio e guidati idealmente dal tredicenne Satellite chiamato così perchè è abile nel montare antenne paraboliche per ricevere i notiziari della CNN ( e i canali proibiti) questi bambini che non sono altro che microadulti costretti a vivere in un mondo per loro inospitale, trascorrono le giornate facendo piccoli traffici, bonificando campi minati e rivendendo le mine al bazaar del paese vicino.
Accanto alla storia di Satellite c'è quella di un fratello e una sorella Henkow e Agrin che hanno con loro un bimbo più piccolo, cieco,che è in realtà il figlio della giovane violentata al tempo della guerra.
Lui fa lo sminatore e pure se ha perso entrambe le braccia continua a farlo imperterrito.
Bellissimo il sentimento amoroso di Satellite per Agrin simboleggiato dai suoi sguardi insistiti e quasi imploranti che si scontrano con l'assoluto disinteresse di lei che alza come una barriera tra di loro.
In realtà la innalza per proteggersi dal mondo che la circonda.Lei ha in mente solo di estirpare il suo senso di colpa che irrazionalmente fa coincidere con quel bimbetto innocente che ha sempre con sè.
E' stupefacente come Ghobadi riesca a mettere la cinepresa ad altezza di bambino e a descrivere con grande partecipazione ( ma senza retorica o inutile enfasi) la loro lotta quotidiana per il proprio sostentamento, che lascia spazio a poco altro.
Eppure c'è chi prova a innamorarsi,c'è chi vuole assolutamente vivere accontentandosi di quel poco che ha,chi accetta quasi col sorriso quello che il destino gli ha riservato perchè è comunque felice di vivere,c'è chi ha una speranza anche se dall'altra parte c'è chi si sente già morto dentro e cerca solo il modo di formalizzare questa la fine di questa malattia che è diventata la vita.
In questo piccolo mondo che sembra fermo a diversi secoli fa in cui la modernità fa molta fatica ad affermarsi(la smisurata antenna parabolica è il simbolo di un progresso finto perchè i vecchi che l'hanno voluta per avere news sulla guerra non la sanno usare e non conoscono l'inglese così come Satellite che però ne millanta la conoscenza) gli adulti sono solo uno spiacevole corollario.I bambini portano invece addosso i segni degli errori dei grandi.
Sia dentro che fuori.
Il campionario di sofferenza che descrive Ghobadi attanaglia alla gola e ci fa scoprire la fortuna che colpevolmente ignoriamo di avere.
I bambini vivono a parte. E muoiono anche a parte,lontano da tutti.
Ma nell'acqua le tartarughe possono volare come piccoli angeli, librandosi leggere e muovendosi armoniosamente.
si conferma regista di assoluta eccellenza
molto bravo
bellissima e con uno sguardo che buca lo schermo.
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