Regia di Eugenio Cappuccio vedi scheda film
Certi film li puoi leggere in filigrana, per vedere cosa volevano essere. Così è il quarto lungometraggio di Eugenio Cappuccio. Guardi Piero Cicala, autore di un tormentone salmastro nell’estate del 1981, e vedi l’ombra di Pippo Botticella. Proprio lui, il “Fred” di Fellini: vedi Emilio Solfrizzi resuscitare come freak in toupé per la gioia di feroci spettatori e conduttori (occhio a Carlo Conti: ci vuole coraggio per essere così stronzi nei panni di “se stessi”) e pensi alla grottesca, vorace Tv commerciale di Ginger e Fred (che però, 26 anni fa, aveva già detto tutto al riguardo). Non a caso, perché Cappuccio su quel set fu assistente di Fellini, e la cosa più bella che questo film voleva essere è l’omaggio al Maestro, negli occhi tristi e disillusi di Solfrizzi, nell’incongruenza struggente del suo costume di bottoni dei kitschissimi anni 80. Vedi Talita Cortes e intravedi per un attimo, dietro le curve perfette e sovraesposte dell’acerba (ma in crescita) Belén, un personaggio più intelligente dello showbiz. La Tv è triste, l’America anche di più, c’è un retrogusto cinico che con sceneggiatori più complici Cappuccio ha (e avrebbe di nuovo) saputo trasformare in taglienti risate a denti stretti. Invece il sapore agro dell’incontro di due solitudini sfuma in quello più digeribile di polipo & patate, e il film che volevamo vedere resta in filigrana.
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