Regia di Eugenio Cappuccio vedi scheda film
Nella società dello spettacolo. Pietro Cicala ha ballato una sola stagione. Erano gli anni 80, quelli dell'edonismo reganiano e di successi che, specialmente in campo musicale, avevano il sapore di un frutto di stagione. Prodotti a scadenza limitata, sciroppati nella grande abbuffata di una estetica televisiva e videoclippara. Così fu, e così è stato anche per il protagonista del nostra storia, sedotto e abbandonato da un industria piegata ai meccanismi del consumo e per questo restia a scelte come quella di Pietro, deciso a confrontarsi con uno stile più personale e meno orecchiabile rispetto al motivo che lo aveva consacrato. Una pietra dello scandalo capace di ridurlo al fantasma di se stesso - Pietro è morto dice all'agente che lo vuole riportare in televisione - e di relegarlo dietro le quinte di un ristorante gestito da una moglie disillusa (un efficace Iaia Forte) . Dapprima recalcitrante ed in seguito deciso a sfruttare l'occasione, Pietro accetta di partecipare ad un programma di prima serata sulla rete nazionale e parte alla volta di Roma. Ad aspettarlo uno stuolo di fan che non l'hanno dimenticato e l'incontro con Talita Perez, star sulla cresta dell'onda con cui si troverà a condividere un pezzo di celebrità.
Abituato a cimentarsi con le conseguenze della vita ed i rovesci del destino- dal Lorenzo Maggi di "Uno su due" al Marco Pressi di "Volevo solo dormirle addosso"- Cappuccio non si smentisce regalandoci un altro personaggio costretto a confrontarsi con un improvviso cambio di programma, ma questa volta lo fa partendo dalla fine, disegnando una parabola all'incontrario per raccontare il ritorno alla vita di un uomo già spacciato.
Informato al modello del racconto di formazione, in fondo per Pietro il tempo si è fermato alle soglie di una giovinezza mai vissuta, con il protagonista chiamato a cimentarsi con esperienze che lo faranno crescere, il film, al di là di qualche squarcio dedicato ad approfondire l'entroterra culturale nel quale prende vita il "sogno americano", si gioca le sue carte mettendo a confronto la maschera dolente di Cicala con il volto plastificato ed alla moda di Talita. Partendo da posizioni antitetiche, il disarmo fisico e l'oblio di lui, la bellezza da copertina e la visibilità di lei, "Se sei così ti dico di sì" si sofferma soprattutto sui punti di contatto ed in particolare su quell'ansia di successo (e sulla paura di perderlo) di un ambiente che sembra vivere di effimero.
Ed è proprio qui, nel dualismo rimosso di Pietro e Talita, che si trovano i pregi ed i difetti del film, perché se da una parte la presenza di un corpo come Belen si porta dietro una serie di non detti che non hanno bisogno di parole - ed in questo senso la sceneggiatura riducendo le sue battute ne amplifica le ambivalenze glamour e modaiole- dall'altra questa strategia toglie peso alla vicenda, spostandola inevitabilmente dalla parte del grande mattatore. E se questo è un bene in termini di performance recitativa (ma Belen è perfetta nel ruolo di se stessa), perché Solfrizzi nei panni di Pietro Cicala si avvicina al Servillo di Tony Pisapia, non si può dire lo stesso sul piano dell'equilibrio drammaturgico, cui viene a mancare il necessario contraltare. Ed anche la rappresentazione dell'ambiente, nel contrasto un po' manicheo tra la notte della grande metropoli ed il sole della provincia, concorre a semplificare una storia che invece vorrebbe vivere di chiaroscuri. Regista di talento ancora alla ricerca del suo capo d'opera, il Cappuccio direttore d'attori vince sullo scrittore, come dire, Uno su due.
(ondacinema.it)
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