Regia di Giulio Questi vedi scheda film
Nella desolazione metropolitana di inizio anni '70, nell'immediato prosieguo di quel boom economico che aveva richiamato nelle grandi città torme di immigrati pronti a fare da manodopera a basso costo per lo sviluppo industriale che avrebbe dovuto sostenere le magnifiche sorti e progressive della nostra nazione, la vedova di un operaio si improvvisa cartomante sfruttando antiche reminiscenze della propria estrazione popolar-contadina e, soprattutto, la dabbenaggine altrui, al fine di sbarcare il lunario in maniera assai più decorosa di quanto non consentirebbe la modesta pensione del defunto marito.
Con Arcana Giulio Questi mirava, come raccontato da lui stesso alla presentazione della pellicola all'ultimo TFF, a raccontare uno spaccato antropologico di ciò che era in una grande metropoli la vita di chi, per educazione e tradizioni familiari, proveniva da una cultura completamente differente, da un modo di concepire la vita che mal si combinava con i ritmi anonimi tipici delle città e soprattutto delle periferie, dove uno sfrenato sviluppo industriale aveva creato giganteschi quartieri dormitorio per chi sperava di cogliere condizioni di vita più decorosa per se e per i propri figli.
Tuttavia Questi non è un documentarista, e quella vena surreale che già si era vista nei suoi due precedenti lavori qui diventa l'elemento fondamentale. Del resto il regista non si nasconde e mette in guardia lo spettatore fin dalla didascalia iniziale che apre la pellicola.
Arcana comincia con una serie di immagini della Milano periferica, le inquadrature di quartieri alveare edificati per dare alloggio alla manodopera venuta da un lontano mondo rurale sono accompagnate da una musica suggestiva, un partito in crescendo in cui un violino ossessivo fa da sfondo alle immagine di una metropoli ripresa dal suo lato più anonimo (e la colonna sonora, composta da Romolo Grano, rappresenta per questo film un valore aggiunto).
Il regista sembra voler abbandonare i canoni di una narrazione tradizionale per cercare piuttosto di colpire lo spettatore con una serie di immagini simboliche, fortemente evocative e spesso contrastanti.
E così alle rappresentazioni iniziali di un paesaggio dominato dal cemento si succedono, nel corso della storia, immagini di un mondo rurale rimasto fuori da ogni sviluppo sociale.
E alle sedute medianiche palesemente taroccate della Signora Tarantino (una splendida Lucia Bosé) fanno da contraltare la follia del figlio, morbosamente attirato dalla madre (che a dire il vero non sembra poi tanto indifferente alle attenzioni della prole) e che appare, lui sì, dotato di autentici poteri parapsicologici.
Figlio (bene intepretato da Maurizio degli Esposti) che è il vero fulcro della vicenda, una sorta di disadattato sociale in apparenza oppresso da una madre possessiva ma in realtà personaggio di assoluta ambiguità; nel suo rifiuto di fronte a una società cui sembra del tutto estraneo si caratterizza come individuo al di fuori di ogni schema consolidato, un personaggio improntato da una forte negatività, che la madre non vede o meglio non vuole cogliere, neanche di fronte a manifestazioni di sanguigna violenza.
Difficile dunque trovare un reale filo conduttore nella narrazione, Arcana spiazza proprio perché è stato concepito per spiazzare. Questi e Franco “Kim” Arcalli danno sfogo al loro estro visionario e realizzano un prodotto che resta in bilico tra la cialtroneria e lo stupefacente, che per certi versi palesa una vena di follia surreale alla Jodorowsky (indimentcabile la scena della "genesi" delle rane dalla bocca della protagonista) per altri invece rivela squarci di comicità involontaria che vanno a ledere sulla credibilità complessiva del risultato finale.
Una pellicola insomma per nulla equilibrata e di cui pertanto è veramente difficile dare una valutazione. Ma che sicuramente merita una visione.
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