Regia di Sharunas Bartas vedi scheda film
Un road movie che si perde. Il tradimento di un patto criminale che viene subito dimenticato. Rapporti umani che si confondono nella rustica convivialità di un banchetto di campagna. È, ancora una volta, l’uomo senza storia e senza volto quello che abbandona le logiche del mondo per rigirarsi nella propria fondamentale solitudine, nella mancanza di chiarezza, nella sfiducia di poter trovare le risposte. In Šarunas Bartas le storie sono sempre brandelli di esistenza in cui la trama è la parte nascosta, l’intreccio complesso ed invisibile che sostiene la verità senza volerla rivelare. È un intrico di fili in cui ci lasciamo avvolgere come marionette, impacchettando il nostro destino perché ci resti appiccicato addosso, perché, comunque sia, è l’unica cosa che ci appartiene veramente. Poco importa se tutto si ripete, se le parole volano via e poi ritornano come se niente fosse: la monotonia, la circolarità, l’insistenza sugli stessi temi sono la conferma di una condizione che ci definisce come esseri immutabili, perché privi della capacità di imparare, di formulare spiegazioni, di trarre conseguenze. Seven Invisible Men è un saggio sull’impossibilità di fare storia, sulla libertà che si arena nell’indeterminatezza, che ritorna alla natura primitiva per dimenticare le domande irrisolte. Questo film, che inizia come un noir e finisce con una festa contadina, è un singolare e audace manifesto del ripiegamento, della rinuncia a diventare faber sui, in una situazione storica che invita ad agire, ma poi ci chiede di inventarci noi i metodi e gli scopi, e questo, forse, è pretendere un po’ troppo.
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