Regia di Simon Wells vedi scheda film
Distribuito a inizio giugno in sole tre copie, tanto alla chetichella che nemmeno ce n’eravamo accorti, Milo su Marte è la pietra tombale (40 milioni di dollari d’incasso contro un budget di 150) sulla ImageMovers Digital di Robert Zemeckis. La discutibile performance capture responsabile di aver trasformato gli attori in bambolotti digitali in Polar Express e La leggenda di Beowulf non è ancora scomparsa (tornerà con Le avventure di Tintin. Il segreto del liocorno di Spielberg), ma certo Milo su Marte ha frantumato l’entusiasmo degli incassi di A Christmas Carol. “Marte ha bisogno di mamme”, recita il titolo originale, perché il matriarcato imperante ha fatto dimenticare alle donne il ruolo materno, tanto da dover rapire una terrestre perché faccia da modello a una schiera di tate robot. Il capriccioso ragazzino Milo interviene durante il rapimento e si ritrova a sua volta su Marte, per salvare la mamma e imparare quanto le voglia bene. La dittatura marziana è grigia e spesso lattiginosa come gli scenari di L’uomo che fuggì dal futuro di Lucas, e i marziani hanno dimenticato la meraviglia del colore, riscoperta da una ribelle grazie a un programma Tv terrestre con protagonisti hippy. L’omaggio al Flower Power non solleva però la storia dalla banalità né la recitazione digitale dei personaggi umani dalla consueta falsità. Perseverare è diabolico, ma talvolta il diavolo dimentica davvero i coperchi.
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