Regia di Simon Wells vedi scheda film
C’è un solo obiettivo che questo cartone animato riesce a centrare perfettamente, ed è quello della bruttezza assoluta, integrale, senza soluzione di continuità, tanto diffusa e radicata da non poter non corrispondere a una scelta di principio: un perentorio diktat antiestetico ed antiletterario a cui la pellicola aderisce scrupolosamente istante per istante, fin nei minimi dettagli, mettendo a suo servizio tutte le plastiche potenzialità della motion capture. Una tecnica che qui (e non solo qui) uccide la fantasia a colpi di randello, con la superficie tondeggiante della gomma che nasconde una micidiale anima di piombo. In questo caso, in particolare, l’effetto prodotto dal tocco raggelante di Simon Wells è quello di una guaina di lattice che incapsula una recitazione imbalsamata: un teatro di marionette con i fili ingrippati, i cui interpreti digeriscono a fatica un copione scarno e stiracchiato, assemblato con pezzi di frasette stereotipate, che si direbbe scritto dal classico dilettante allo sbaraglio. La regia cerca forse il realismo, e trova invece solo un’improvvisazione grezza e disarmonica, messa insieme senza un briciolo di stile, partorendo un guazzabuglio che, nonostante la sua imprevedibile disomogeneità, riesce comunque a risultare subito noioso. In sottofondo pare di intravvedere, come una sorta di canovaccio grafico, una copia anastatica sbiadita della fantascienza degli anni settanta, di cui si riciclano gli scenari spenti e i costumi impolverati, mentre le anime dei miti e degli eroi sono ormai volate via. La storiella di Milo su Marte è clamorosamente insulsa, e non ci si può far niente; i dialoghi della versione originale sono sconfortanti anche nel tono, e si spera che almeno a questa insopportabile cacofonia il doppiaggio italiano possa – una volta tanto – porre il necessario rimedio.
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