Regia di Jo Baier vedi scheda film
Tratto dal romanzo postumo di Tiziano Terzani il film di Jo Baier (non propriamente un regista di razza e si vede) possiede gioco forza alcuni dialoghi profondi, conditi con considerazioni sulla vita (e sulla morte) che illuminano soprattutto l’anima, ma poi dal punto di vista cinematografico arranca mancando di quel tocco e di quella cura che un progetto del genere avrebbe meritato.
Dopo una vita densissima e con la morte ormai alla porta Tiziano Terzani (Bruno Ganz) convoca nella sua appartata casa in Toscana il figlio Folco (Elio Germano).
Gli racconta stralci di vita ed esperienze, ma anche tutto il suo viaggio interiore.
Di fronte a certe frasi non si può rimanere distanti dal contesto, tanto più che si respira una sensazione di “pace” interiore che trascende tutto il possibile.
Chiaramente tutto ciò comporta anche un inevitabile eccesso di verbosità, ma la regia è svuotata di ogni slancio in grado di dar vita ad immagini che sappiano cesellare le parole con la forma che avrebbero evitato, certo l’impresa era ardua, ma in questo caso nemmeno si è abbozzato un tentativo in tal senso.
In ogni caso rimane a prescindere un tributo sentito nei confronti di un personaggio illuminato che non ha (avuto) paura dell’ultimo passo terreno che lo attende(va) dietro l’angolo.
Tra le note negative anche la colonna sonora non viene in soccorso, nonostante sia spesso presente (a volte in maniera invadente e inopportuna).
Tra le altre cose invece, nonostante alcune critiche negative, ho trovato Bruno Ganz se non appropriato comunque di notevole presenza (d’altronde l’attore in se ha capacità insite in pochi altri), mentre Elio Germano può solo giocare in difesa (ma lo sa fare sufficientemente bene).
In definitiva mi aspettavo molto di più dal film, e qualcosa di migliore si poteva fare con maggiore personalità a monte, ma con un personaggio (e relativo interprete) del genere sempre in prima fila è difficile scendere troppo in basso.
Un po’ deludente, ma non da cestinare.
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