Regia di Jo Baier vedi scheda film
L'insegnamento di Terzani, sottoforma di dialogo col figlio Folco, è, in verità, estremamente palese. Come rivela lo studio dei Koan. Giungere ad una sorta d'illuminazione (sulla natura della quale, esita spesso lo stesso giornalista), di pacificazione dell'anima e dei sensi, è arduo ma si basa su pochi, concreti fondamenti. Semplicità, serenità, osservazione, armonia, pace.
Per noi specialmente, divorati dalla fretta, dai miti dell'estetica, dai budget, dall'illusione del risultato, dall'assillo del giudizio altrui, dal “concreto” da catalogare e rendere classificabile nella nostra vita a punti; perdere anche solo un minuto ad osservare una coccinella in volo alla conquista dell'universo, un minuto che non ci darà punteggio - se non nella nostra pacatezza d'animo - sembra quasi irreale.
In tanti siamo usciti dal cinema scivolando dal messaggio al risvolto tecnico, e quindi al freddo commento sull'assenza di flashbackes, al doppiaggio mediocre, al rimprovero dell'eccessivo ristagno d'immagine.
L'esortazione di Terzani è limpida invece, ma la sua applicazione prevede una rivoluzione cerebrale prima ancora che materiale, di apertura, di prospettiva, di mentalità; che crea timore inconscio, minando credenze fortificate da secoli di cattive consuetudini.
Dovremmo immergerci in certi suggerimenti ed uscirne capaci di scorgere coccinelle anche noi; ed è la (ri)lettura di Terzani che ci offre l'Altra angolazione. Probabilmente l'unica valida.
Tutto ciò bypassa il giudizio su quello che rappresenta il film in se, e che prescinda dal messaggio.
Una pellicola volutamente statica, minimalista - supportata dalle avvolgenti melodie di Ludovico Einaudi - che concentra lo spettatore sul peso della parola, sui volti di Bruno Ganz (padre) ed Elio Germano (figlio) senza ingombrarlo d'immagini, ma semplicemente evocandole.
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