Regia di Jo Baier vedi scheda film
“Se mi chiedi alla fine cosa lascio, lascio un libro che forse potrà aiutare qualcuno a vedere il mondo in modo migliore, a godere di più della propria vita, a vederla in un contesto più grande, come quello che io sento così forte.”
Tiziano Terzani (Bruno Ganz), scrittore e giornalista fiorentino, sente la morte ormai vicina e parla della sua vita al figlio Folco (Elio Germano).
E’ un lungo romanzo che parte dai ricordi d'infanzia e arriva agli ultimi anni vissuti nelle campagne toscane. Dentro c’è il racconto di una vita straordinaria, ma anche difficile, di un rapporto contrastato con i figli, del suo vivere troppo lontano da loro. Il suo è un raccontare per raccontarsi e scoprirsi, ora che il tempo sta per mancare e ad un figlio si può affidare il senso della propria vita, perché non muoia con il suo corpo.
A noi che assistiamo non resta che il silenzio, non è facile, di fronte ad un film come questo, adottare i codici interpretativi consueti, definire con un giudizio di gradimento qualcosa che sfugge a canoni e confini, collocandosi in una categoria altra rispetto ad una normale fruizione estetica.
Chi assiste a questo incontro/dialogo fra padre e figlio ha la sensazione di far parte di un coro che segue muto l’epilogo sulla scena di un dramma antico ed eterno, il vecchio eroe che muore e consegna al giovane i beni che la vita gli ha donato e di cui si è rivelato degno.
Singolare è il richiamo che cogliamo, per antitesi, con le parole di Tiresia ad Edipo:
“In questo giorno tu nasci e tu muori”
“La fine è il mio inizio” scrive Tiziano Terzani.
Fra questi due poli, opposti e complementari, si consuma una vicenda millenaria.
Tiziano è l’uomo che molto ha vissuto, lo dice con parole chiare, venuto dal niente ha esplorato il mondo ed ha visto tanto.
Il suo corpo ora è malato, è un’appendice fastidiosa e quasi grottesca di cui ben presto si sbarazzerà, resta poco tempo, aspetta quest’ultima esperienza della morte con la stessa curiosità intensa con cui ha vissuto la vita, ma ha bisogno di consegnare il testimone a quel figlio con cui trascorrerà gli ultimi tre mesi sulle colline pistoiesi, una casa modesta, che spazia su vallate verdi e forre profonde, dove radici secolari s’intrecciano in superficie e spesso il vento agita rumorosamente le chiome scricchiolanti dei lecci.
… e se io e te ci sedessimo ogni giorno per un’ora e tu mi chiedessi le cose che hai sempre voluto chiedermi e io parlassi a ruota libera di tutto quello che mi sta a cuore, dalla storia della mia famiglia a quella del grande viaggio della vita?
C’è in Tiziano l’approdo ad una pace che è conquista consapevole di essere parte di un tutto cosmico, in una condizione di atarassia da cui le vicende umane appaiono in una prospettiva diversa, i confini si annullano, le barriere cadono, nulla ci appartiene che sia esterno a noi e l’unica rivoluzione che possiamo fare è quella dentro noi stessi.
Fosco lo ascolta, lo guarda, il volto è teso, ma diventerà man mano più sereno, Tiziano è stato un padre gigantesco e spesso lontano, ma ora il discorso interrotto riprende e andrà oltre il tempo, depurato da scorie terrene, come le ceneri che Fosco disperde nel vento dalla cima della collina, sopra le nuvole.
E’ uno spazio teatrale, è come leggere il libro da cui il film è tratto, è come accade nella nostra mente quando le parole che leggiamo si animano e prendono forma.
“Se mi chiedi alla fine cosa lascio, lascio un libro che forse potrà aiutare qualcuno a vedere il mondo in modo migliore, a godere di più della propria vita, a vederla in un contesto più grande, come quello che io sento così forte.”
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