Regia di Robert Redford vedi scheda film
Robert Redford non si piega. Dopo la lezione di educazione civica di Leoni per agnelli, ficca le mani nell’esecuzione capitale dei cospiratori contro Lincoln: evento che ha assunto i connotati di atto fondativo della democrazia statunitense. Pacificazione forzata dopo il bagno di sangue della Guerra di Secessione. Non importa quindi se Mary Surratt abbia partecipato o meno al piano per uccidere Lincoln. Ciò che conta è ciò che Redford fa al cinema. E infatti il film è deliziosamente, perversamente tutto già visto. Irresistibilmente “noioso”. Questo massimalismo ideologico, che lo avvicina a una certa idea di cinema politico tipicamente anni 70 (da vecchio Pci, per intenderci), e che con ogni evidenza ha fatto il suo tempo, risuona, nonostante tutto, di accenti di commovente e donchisciottesca convinzione. Redford non punta il dito contro i cattivi di turno, ma si scaglia contro Edwin Stanton, braccio destro nonché amico fraterno di Lincoln e sacrifica sull’altare della sua polemica Joseph Holt, l’avvocato dell’accusa, unico personaggio potenzialmente tragico che avrebbe potuto sottrarsi al manicheismo redfordiano. E che il protagonista Frederick Aiken dopo il processo abbandoni la legge e diventi una colonna del “Washington Post”, la dice lunga sulla materia di cui sono fatti tutti gli uomini del presidente. Come dire che dal suo massimalismo didattico di matrice “sovietica”, Robert Redford distilla ancora una volta un concentrato di purissimo patriottismo americano.
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