Regia di Robert Redford vedi scheda film
Robert Redford e’ e restera’ uno dei piu’ significativi interpreti del cinema impegnato e civile anni ’70 e ’80, ma il suo ruolo in questo settore e’ ben piu’ multiforme e spazia anche alla produzione e organizzazione di festival. Alla sua ottava regia, l’artista conferma una singolare tendenza che mi ha sempre incuriosito: l’ideatore e direttore di uno dei piu’ prestigiosi festival cinematografici al mondo - il leggendario Sundance - che sforna ogni anno opere prime o indipendenti a bassissimo budget e altissima concentrazione di idee e innovazione, quando passa dietro la macchina da presa, preferisce rifugiarsi dietro un budget medio/alto e con storie e stili di regia classici se non epici, che spaziano dalla drammatica vicenda/melodramma di rapporti personali interfamiliari a episodi storici ricostruiti con minuzia e attenzione, ma certo quanto piu’ lontani da quella scuola di cinema essenziale e di contenuto che proprio Redford ha contribuito a coltivare con passione e a far crescere.
Non fa eccezione questa ultima sua avventura cinematografica, che tratta della strenua quanto vana lotta di un combattivo giovane avvocato nella difesa di una matura vedova accusata ingiustamente di cospirazione nell’ organizzazione dell’omicidio di Lincoln.
La confezione super lusso, il cast di prim’ordine che raggruppa caratteristi di gran classe controllati a bacchetta dal regista, conferiscono al film un carattere sicuro ma forse troppo controllato, quasi statico, non fosse per la gradevole complice alchimia che unisce i due coinvolti protagonisti MacAvoy/Wright in una intensa prova d’attori che in occasione del tragico epilogo riesce anche a provocare commozione. Ed e’ proprio questa la forza dell’opera: l’aver saputo unire due dei migliori ed intensi interpreti in circolazione – vent’anni d’eta’ che li dividono, ma un’intesa che li unisce oltre ogni scadenza anagrafica.
Molto belli i titoli di coda in stile western, e la canzone che ne accompagna l’avvicendarsi.
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