Regia di Robert Redford vedi scheda film
In tempo di guerra, la legge tace. La frase, pronunciata confidenzialmente dal pubblico ministero, potrebbe fare da chiosa finale all’ultima fatica di Robert Redford. La risposta dell’avvocato difensore – Non dovrebbe essere così – fotografa il pensiero del regista, il cui cinema liberal discende in linea diretta da quello di Martin Ritt e Richard Brooks. Redford ricostruisce in maniera scarna, essenziale e rigorosa la vicenda che portò per la prima volta nella storia degli Stati Uniti una donna sul patibolo. Mary Surratt è la tenutaria della pensione in cui si riunivano i congiurati che complottavano per rapire Lincoln. Gli eventi faranno sì che il rapimento si muti in omicidio e i cospiratori verranno tutti catturati o uccisi, il solo che riuscirà a darsi alla macchia è John, il figlio della Surratt. Stanton, il Ministro della Guerra è inflessibile, vuole una sentenza esemplare, impone un processo militare laddove la costituzione lo pretenderebbe civile, compone la giuria con uomini vicini a Lincoln e rimane in costante contatto col pubblico ministero. La difesa della Surratt viene affidata al Capitano Aiken, giovane decorato della Guerra di Secessione, alla sua prima esperienza legale. Aiken, inizialmente titubante e scettico sull’innocenza della donna, vedrà i propri testimoni intimiditi e i diritti civili dell’imputata calpestati, ma condurrà una difesa vigorosa e l’arringa finale poggiata sui principi dei padri fondatori della nazione che Lincoln stesso avrebbe impedito fossero traditi, convince la giuria a evitare la pena capitale per la donna. Ma il Ministro della Guerra fa in modo che questi cambino idea e la disperata corsa di Aiken alla ricerca di un giudice che firmi la Habeas Corpus (espediente legale che impone la ripetizione del processo in sede civile) viene resa vana dalla lettera del presidente Johnston, che stralcia il provvedimento. La botola si apre sotto i piedi della Surratt e il Grande Paese si macchia d’infamia. Dovranno passare 100 anni, tra Dallas e il Watergate, perché la Nazione prenda coscienza della perdita di un’innocenza di un mondo che, fin dalle fondamenta, mai fu perfetto. Redford mette in scena, in una cornice storica splendidamente ricostruita, un dramma misurato, quasi documentaristico, perché il suo cinema non vuole colpire al cuore ma risvegliare le coscienze. E di un cinema di impegno civile c’è sempre bisogno.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta