Regia di Rupert Wyatt vedi scheda film
Trovare un prequel degno di nota, di questi tempi, è impresa sempre più ardua. La crisi d'idee prosegue dilagando e centinaia sono le produzioni inutili che s'annoverano fra remake, capitoli zero, sequel, reboot e chi più ne ha, più ne metta. Tolto il Batman di Nolan, a salvarsi sono veramente in pochi e fra questi mi sento di segnalare l'interessante opera seconda di Rupert Wyatt, regista britannico degno di menzione già ai tempi del discreto esordio con "Prison Escape". A quale tipo d'immaginario si ricolleghi "L'alba del pianeta delle scimmie" non è certo un mistero, la risposta la si trova direttamente nel titolo. Eppure è con una buona dose di curiosità che si seguono le gesta del ricercatore idealista Will Rodman e del suo esperimento più importante: Cesare, un cucciolo di scimpanzé sul quale il giovane scienziato sperimenterà una potenziale cura per l'Alzheimer. Il film di Wyatt punta sul sicuro; solido e lineare, si allaccia ad una saga dall'indubbio fascino e, cosa più importante, non troppo abusata o saccheggiata negli anni (il film di Tim Burton era comunque un'altra cosa), fornendo la genesi di un nuovo mondo in cui l'uomo è sempre e comunque fautore del proprio destino nonché elemento catalizzatore dei principali e più disastrosi eventi. Un kolossal sci-fi sviluppato in crescendo che dell'evoluzione fa la sua carta vincente, schierandosi apertamente dalla parte delle scimmie e regalando loro le sequenze più riuscite e scene madri a dir poco emozionanti man mano che apprendono quello che l'essere umano pare aver dimenticato. Coesione, obiettivi comuni, ribellione al tiranno. Difficile scampare ai tranelli della retorica quando si ha per le mani materiale del genere ma il compromesso raggiunto da "L'alba del pianeta delle scimmie" va a vantaggio di un intrattenimento meno effimero del solito, regalando spunti di riflessione non troppo banali. James Franco funziona e convince ma l'abbinata Andy Serkis/Computer grafica che dà vita a Cesare, non ha rivali.
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