Regia di Neil Burger vedi scheda film
L’antipatia che emana Bradley Cooper (mi scuseranno le signore conquistate dai suoi occhi verdi) si spalma su tutto il film pregiudicandolo pesantemente. E d’altra parte il film non si lascia amare molto di suo, protagonista a parte, laddove la fase che poteva (doveva?) essere la più intrigante di tutte, cioè quella in cui inscenare “l’espansione” mentale dovuta alla nuova droga (com’è che si chiamava? ZTL? No, aspè, quella è l’isola pedonale del centro storico…TNT nemmeno, quello era Alan Ford…. Bho?! una roba simile….), si riduce a poche battute riepilogative della voce narrante fuori campo e a qualche mini-effetto distorcente e duplicante, niente di più. L’addiction che si inventa Neil Burger assomiglia un po’ alle noccioline di Super-Pippo: ingurgitato il pillolone, sei praticamente un super-eroe invincibile e per essere il fattone che sei bisogna aspettare l’astinenza. Per veder decollare un po’ il film bisogna invece aspettare De Niro, che arriva tardi in una piccola parte che regge, come sempre, da leone. Ma le falle non si chiudono con la scesa in campo del mitico Bob, e il film prosegue parlandosi addosso, uno stile registico inutilmente movimentato, al limite dell’isterico, con inserzioni di piccole storie parallele (la ex-neo fidanzata, l’aguzzino dall’accento balcanico) che non arricchiscono e non impoveriscono. La soluzione finale della sceneggiatura (un happy ending sostanzialmente inquietante che apre scenari per una super-razza umana), ma soprattutto l’ultimissima battuta di lui, il “Che c’è?” di chi cade dalle nuvole pronunciato al ristorante dopo un brillante duetto in cinese col cameriere, così uguale (cioè, è identico) al “Che c’è?” di Birdy di parkeriana memoria volato sul tetto del manicomio con “La Bamba” che parte un istante dopo sui titoli di coda, è la ciliegina sulla torta, il sigillo inequivocabile di antipatia che marca tutti i limiti di questo Limitless. Sfiora la sufficienza, ma non ci arriva.
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