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Limitless

Regia di Neil Burger vedi scheda film

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La recensione su Limitless

di OGM
8 stelle

Alan Glynn inventa il trip lucido,  che, anziché estraniare dal mondo,  rapisce dentro alla realtà: e Neil Burger conferisce, a questo viaggio nel cuore della verità, una veste cinematografica potente e cristallina come una lente di ingrandimento spazio-temporale. La forza dell’evidenza diventa vertigine, che trascina l’occhio e la mente attraverso il risucchio di una razionalità tanto nitida e  penetrante da sembrare un’allucinazione. La percezione sensoriale e la capacità di elaborazione logica, esaltate oltre ogni limite da una droga chiamata NZT, diventano, per il protagonista di questa storia, le fonti energetiche di un amore smisurato per la concretezza della vita, ed i motori di una irrefrenabile passione per l’inseguimento dei sogni e la realizzazione degli obiettivi. La chiarezza, privata di ombre,  elimina il dubbio e rende la certezza una formidabile compagna nelle piccole e grandi scelte quotidiane. La “felicità” di sapere sempre e mai sbagliare coincide con la breve illusione di avere scoperto un’onnipotenza a misura d’uomo, né supereroica né divina, che è, semplicemente, l’ideale punto di arrivo del progresso scientifico e dell’evoluzione intellettuale della specie. Questa folgorazione colpisce il giovane scrittore Eddie Morra, nella Manhattan dell’editoria e dell’alta finanza, come una fiamma che accende una miccia in un ambiente saturo di gas: l’esplosione di produttività che ne scaturisce è un’eruzione di adrenalina cerebrale ad altissima concentrazione, che corre dritta allo scopo, senza deviare né indugiare, sfrecciando come un bolide lungo una galleria di occasioni esclusive e favolose.  L’anima di questo film è una velocità supersonica tradotta in pensieri, in parole, in azioni, e in immagini illuminate da un guizzo metallico, che dona alla scena la limpida profondità di uno specchio d’acqua in cui si riflette il mondo. Il conoscere e il veder chiaro diventano, per una volta, sinonimi di potere, di libertà, di successo, di un’esaltazione dell’io che, almeno nella prima fase, è egocentrismo senza egoismo, perché riesce a prendere tutto per sé senza togliere nulla agli altri. Questa favola rap, che traduce la gioia in un trascinante ritmo meccanico, prevede, come tutte le fiabe, una svolta e una morale: vola alto per poi ricadere, e risollevarsi, nel finale, alla luce di una nuova saggezza. E intanto noi, che abbiamo seguito la storia correndo con lei a perdifiato, abbiamo perso di vista il suo nome e non sappiamo più dire a che genere essa appartenga: forse è un thriller, o forse un fantasy, perché la tensione elettrica che la percorre è forse il brivido d’ansia che accompagna una sfida, o forse lo sfogo di euforia che sottolinea il fugace passaggio di una chimera.  

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