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The Eagle

Regia di Kevin Macdonald vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su The Eagle

di Spaggy
8 stelle

Nel 1954 la scrittrice britannica Rosemary Sutcliff, partendo da un presupposto reale, pubblicò un libro per ragazzi a sfondo storico: “L’Aquila della Nona Legione”. Si raccontava la storia di un giovane comandante romano, Marcus Flavius Aquila, che nel 160 dC attraversò la linea che segnava la “fine del mondo”, il vallo di Adriano, per inseguire un sogno di riabilitazione del proprio nomen, dell’onore della propria famiglia di appartenenza. Era, infatti, figlio del comandante della prima coorte della Nona Legione Romana che nel 120 era scomparsa proprio nel nord della Bretagna, nel tentativo di sottomettere la popolazione locale, composta soprattutto da violente tribù “pagane” (dove per pagano si intende tutto ciò che non aveva a che fare con la religione politeista dei Romani). La scomparsa della Legione aveva comportato anche la perdita delle insegne romane, prima tra tutte quella raffigurante l’Aquila d’Oro, simbolo dell’onore della città e del suo prode valore. A far notizia non era la scomparsa dell’esercito e dei suoi uomini ma il sapere che Roma stessa stava sepolta da qualche parte o in mano a chi non era degno di possedere quel simbolo. Ciò aveva comportato anche una difficile eredità sulle spalle del giovane Marcus, da sempre ritenuto figlio dell’uomo che aveva causato la debacle: l’imperatore Adriano aveva fatto erigere la linea di confine, il vallo, proprio per evitare che in futuro qualcun altro potesse riportare un risultato simile da quelle terre, ne sarebbe uscite deturpato e infangato il nome di tutto l’Impero, da sempre simbolo di potere e conquista. Per Marcus, di conseguenza, recuperare l’Aquila ha una duplice valenza: riportare l’onore alla propria città e, soprattutto, riportare l’onore alla reputazione della propria famiglia che, quasi per ironia della sorte, si chiama anche Aquila. L’unico modo per farlo è ovviamente avvicinarsi sempre più alla carriera militare e ai territori in cui il fatto è avvenuto.
 
Divenuto soldato, Marcus viene inviato nei territori della Bretagna del sud. Ed è da questo punto che parte la vicenda raccontata dal film, tutto ciò che è pregresso viene ricordato attraverso flashback o attraverso le parole di chi quella vicenda l’ha vissuta o subita, attraverso i ricordi o i sentito dire.
 
Marcus si insedia subito nel forte a lui destinato, anche se il suo arrivo per il nome che porta è considerato un cattivo presagio da parte dei militari della legione. E il cattivo presagio diviene realtà quasi subito: a causa di un’imboscata e successivo attacco da parte dei druidi locali, Marcus pur vincendo lo scontro si ritrova costretto ad abbandonare la carriera militare per via di un grave infortunio ad una gamba, rimediato in uno scontro con un carro druido dotato di affilati speroni. Il giovane trova ospitalità a casa dello zio, anch’egli di stanza in Bretagna. Le sue giornate passano tra la rassegnazione e l’anonimato, rotte soltanto da una visita all’arena locale in cui si svolge l’attività ludica per l’eccellenza: lo scontro tra gladiatori e schiavi. Ed è proprio assistendo allo scontro tra un gladiatore e uno schiavo che mostra la sua fiera dignità che Marcus decide di salvare la vita al giovane Esca. Poiché le condizioni della gamba di Marcus continuano a peggiorare, lo zio decide di acquistare Esca e di assumerlo come schiavo personale di Marcus. Durante una cena in cui sono commensali anche un senatore e un patrizio romano, Marcus sente raccontare una delle tante voci che circolano sulla Nona Legione scomparsa vent’anni prima: si dice che sia stata avvistata a nord del Vallo e che i soldati si siano concessi ad una condotta di vita lasciva. Riaffiorata l’idea di ritrovare l’Aquila e il padre perduto, Marcus decide di intraprendere un coraggioso viaggio in compagnia del solo schiavo Esca: come originario del luogo, Esca si presenta come una guida perfetta per esplorare i territori e per comunicare con le popolazioni locali.
 
“The Eagle” racchiude in sè almeno tre parti fondamentali: la vita militare nei primi minuti, il percorso che sancisce l’amicizia tra Marcus ed Esca e, infine, la battaglia nei territori della Bretagna settentrionale. Le tre parti non sono isolate e scisse ma legate tra di loro da un sottile filo conduttore implicito nella figura del protagonista, Marcus. Prima di essere un militare è un figlio a cui sono state negate le attenzioni di un padre di cui conserva vaghi ricordi: un’aquila intagliata nel legno, un saluto prima di una partenza senza ritorno, un anello verde al dito. E ogni azione del giovane è legata ai ricordi della figura del genitore, come se avesse fatto della riabilitazione del nome l’unica sua ragione di vita. Quasi incredibile ai giorni nostri ma fondamentale per la società romana del tempo che al concetto di nome attribuiva grande importanza, basti pensare alla triplice denominazione di ogni individuo (prenomen, nomen e cognomen, ognuno contenente tratti di appartenenza e connotazione).
 
La prima parte dell’opera di Kevin Macdonald, abbastanza sicuro di ciò che sta realizzando, potrebbe essere configurata come un film western: il fortino militare ne rafforza il paragone mentre la battaglia tra Romani e Druidi è paragonabile ad uno scontro tra militari ed indiani per via della messa in scena tra esche, trappole e agguati. Anche i rituali tribali dei druidi ricordano i rituali dei violenti indiani dell’epopea western cinematografica: scalpi e teste mozzate, ad esempio, non vengono risparmiate. Così come l’insediamento di Marcus al forte ricorda alla lontana la “Storia del generale Custer” nella versione raccontata da Raoul Walsh: alla diffidenza iniziale si oppone l’integrazione del generale Marcus dopo una vittoriosa battaglia notturna, presentita dall’uomo e preparata con largo anticipo grazie al sistema delle torce.
 
La seconda parte invece vira verso il film di formazione, si incentra sulla costruzione del legame tra Marcus e Esca, il giovane schiavo. Pur accennando allo spettacolo dei gladiatori, non si intravedono ad esempio gigantesche arene ma solo una costruzione amatoriale dove gli spalti sono in legno e dove tutto sembra eretto alla bisogna, solo per riprodurre in piccolo un’usanza in voga nella capitale. Dietro l’angolo si affaccia lo spetto del “Gladiatore” di Ridley Scott ma viene subito scacciato indietro, marcando un quadro psicologico ben netto e differente dello schiavo Esca. Il giovane mantiene la sua dignità sia sul punto di morte, salvato solo dal pollice all’insù di Marcus, sia durante il rapporto con il suo nuovo padrone: accetta la condizione di servo ma non modifica il suo pensiero. Saranno solo le avventure condivise, i pomeriggi di caccia al cinghiale trascorsi insieme o la cruenta operazione “chirurgica” alla gamba di Marcus a rinsaldare un legame ostico e affascinante. Esca e Marcus sono figli di terre diverse con visioni diverse su Roma e sui metodi usati per allargare l’Impero. Se per Marcus Roma è sinonimo di grandezza anche morale, per Esca l’Impero è solo un cruento carnefice che in nome della gloria non esista a massacrare le popolazioni dei territori che assoggetta. Ed è ovvio che i due abbiano anche un’idea differente sulle sorti della Nona Legione, idee che riaffiorano, si scontrano e collimano nella terza parte del film.
 
La terza e conclusiva parte del film è forse la più scontata e prevedibile, riguarda il viaggio che Marcus ed Esca affrontano a nord del vallo di Adriano nel tentativo di riconquistare l’oggetto del loro desiderio (onore, prestigio, insegna). Si ribaltano i ruoli tra schiavo e padrone, un romano non potrebbe mai essere lasciato vivo nei territori delle Highlands e quindi occorre una spiegazione razionale da dare agli abitanti locali sulla presenza di Marcus: si finge che sia lo schiavo di Esca, guida del percorso e traduttore. Ben presto, però, la situazione si complica, soprattutto quando i due vengono a contatto con la tribù locale dei Seal, violenti e dediti all’arte dello sterminio dei Romani. Sono loro ad aver trucidato la Nona Legione (ma, sorpresa, qualcuno dei componenti si è salvato e si è ricostruito una vita in quei territori) e di conseguenza lo scontro tra Marcus, aiutato da Esca, e i locali è pronto ad esplodere. Visivamente per rappresentare somaticamente i Seal si fa riferimento ai tratti distintivi dei Na’Vi di “Avatar” mentre i lunghi inseguimenti per boschi ricordano troppo da vicino “L’ultimo dei Mohicani” ambientato però nei territori di “Braveheart”. Qui l’onore lascia il posto alla vendetta in un gioco di ribaltamento tra padri e figli, carnefici e vittime, soprattutto in Marcus, sempre più debilitato fisicamente a causa della sua gamba.


Ed è anche in questa parte che è possibile ravvisare una vena politica che traslittera l’impero romano nell’impero americano di oggi che invade i territori nemici per portare civiltà e progresso. Troppa enfasi viene riservata all’accoglienza violenta dei Seal, alle loro abitudini tribali e lontane dalla grazia degli dei. Passano in secondo piano le nefandezze dei conquistatori, i loro massacri, la riduzione in schiavitù delle popolazioni locali. Il regista potrebbe rispondere che si tratta di fantapolitica, del resto l’ottica deve essere necessariamente quella dei Romani e il finale obbligatoriamente deve prevedere l’happy end. Il protagonista riconquista l’Aquila e l’onore perduto, Esca riconquista la libertà e rafforza il suo legame d’amicizia con Marcus. Perché la profonda storia d’amicizia tra padrone e schiavo è l’altra chiave di lettura della pellicola.


Perfetta la ricostruzione storica e ambientale, ricreata da Michael Carlin e ben fotografata dal premio Oscar Anthony Dod Mantle, così come priva di pecche è la scelta dei luoghi e degli ampi spazi in cui il regista, nipote di Emeric Pressburger, ambienta le riprese, ricorrendo a numerose scene di massa piuttosto che all’uso degli effetti posticci. Così come pregevole è l’aver evitato la versione impegnata di “Asterix” o la deriva tutta muscoli o fantasy di film come “L’ultima legione” o “Centurion”, anche se si tratta di una pellicola prettamente maschilista. Nessun ruolo femminile è posto in evidenza e nessuna donna romana viene evidenziata o descritta (ci sarebbe aspettato almeno di vedere in scena la madre di Marcus). Così come non è un prodotto destinato  ad un pubblico femminile: prova ne sono la scena dell’operazione alla gamba di Marcus e un pasto selvaggio nelle campagne delle Highlands.


Anche la sfera religiosa degli antichi Romani non viene approfondita, si accenna ai presagi, all’arte della divinazione, si mostra il giusto riferimento all’adorazione di divinità misteriche come Mitra ma non si va oltre, il mito delle insegne e dell’Aquila meriterebbe almeno un cenno anche all’universo dell’aldilà e del culto dei morti, così come la concezione di “pater familias” meriterebbe almeno un capitolo a parte. 


Rimane un buon film d’azione che conta anche su interpretazioni notevoli: il ruolo di Marcus è nelle mani di Channing Tatum, che sul finale fa del muscoloso condottiero romano una specie di Cristo sopravvissuto e spavaldo, la cui croce è l’insegna, il vessillo riconquistato. Il ruolo di Esca, che perde in psicologia nell’ultima parte cedendo il passo alla prevedibilità, va a Jamie Bell: difficile riconoscere il bambino protagonista di “Billy Elliott”. Così com’è difficile riconoscere nel capo della tribù dei Seal Tahar Rahim, vincitore di un Cesar per “Il Profeta”. Gradevole è anche Donald Sutherland nei panni dello zio di Marcus, figura a metà strada tra la guida spirituale e il tutore. Come è sempre piacevole vedere in azione Mark Strong, qui nel ruolo di Guern/Metello, ovvero uno dei soldati rimasti a vivere nella Bretagna del Nord dopo il massacro della Nona Legione.

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