Regia di Michelle Bonev vedi scheda film
Era dai tempi di Barbarossa che non si vedeva un tale diabolico matrimonio tra pochezza cinematografica e aborto ideologico. La realizzazione ha limiti clamorosi: sceneggiatura a frasi fatte, regia sciatta, fotografia “smarmellata” con sfocatura per i flashback, recitazione da soap, colonna sonora insistente, montaggio che incastra malamente i piani temporali dilungandosi oltre misura, trucco da porno con le treccine per ringiovanire le attrici. Il tutto con un anticomunismo che sarebbe risultato ridicolo a McCarthy, dove si usano segnalibri di Stalin e le insegnanti danno di matto quando vedono un crocifisso dicendo «Gagarin è andato nello spazio e Dio non l’ha trovato». Protagoniste sono due nipoti che cercano di salvare la nonna dall’ospizio gulag bulgaro, in cui è stata rinchiusa dalla crudele madre Jana, dove i vecchi sono calmati a pugni in faccia e ammazzati dalla dieta (si vomita più che in Jackass). La soluzione dell’intreccio è puerile e i dialoghi denunciano subito buchi di senso: a Jana si offre l’indirizzo dell’ospizio – come sarà arrivata fin lì senza conoscerlo? – per farle dire che non tornerà dalla madre, del resto è una kattiva komunista. Le nipoti ricevono invece l’aiuto di un potente con due foto sulla scrivania, nella prima è con Papa Wojtyla e nella seconda, a lungo inquadrata, con Silvio Berlusconi.
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