Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
«Una storia sospesa tra realtà e mito, raccontata con il linguaggio lieve e potente delle fiabe»: Emanuele Crialese confessa le ambizioni del suo quarto lungometraggio (in 14 anni), che poi altro non sono che i vestiti della sua originale cifra stilistica. Il risultato di Terraferma, diciamolo subito, non è all’altezza di Nuovomondo: il meraviglioso gioco tra onirico e reale, tra il cinema di Coppola e Tornatore da un lato e il Neorealismo estremo alla Terra trema viscontiana, è qui frenato da altre urgenze. O forse solo da una vena creativa leggermente in ribasso. Tuttavia, la forza dirompente delle immagini della cinepresa del regista romano di origini siciliane riesce a regalare a chi guarda più d’una emozione. Anche perché dove si concludeva il suo (a tutt’oggi) capolavoro, ovvero Respiro, comincia Terraferma, titolo provocatorio, antitesi a un chiaro sottotesto: mare largo. È lì che Crialese si muove meglio (difficile, nel cinema contemporaneo, trovare un “regista pesce” come lui), è lì che le onde del destino dei suoi film si infrangono inesorabilmente. E se in Respiro Grazia, nel finale, trovava aria per i suoi sogni proprio inabissandosi nei silenzi marini, in Terraferma è la macchina da presa ad averne immediatamente bisogno. D’altronde - ci dice da oltre tre lustri Crialese - tutti veniamo dal mare. Se il cinema non avesse la necessità di raccontare storie, Terraferma sarebbe un capolavoro. Perché le immagini che irradia bagnano i corpi e i pensieri come in una vacanza che non conosce la sua data di ritorno. E anche se Crialese tiene a sottolineare che il suo non è un film sulla tragedia dell’immigrazione, risulta difficile abbandonarsi (come in Respiro) ad altre suggestioni. Non a caso i suoi personaggi rimangono travolti dai drammi umani dei clandestini che raggiungono l’isola immaginaria dove Crialese ambienta il film (troppi i buchi e i conti narrativi che non tornano). E, parallelamente, proprio perché Crialese non è un regista del quotidiano ma un inventore di nuovocinema, memorabile è la sequenza notturna in cui un gruppo di africani nuota disperatamente per raggiungere la barca guidata da Filippo a fini turistici (una scena che pare uscita da La notte dei morti viventi di Romero). Filippo è lo stesso Pucillo che era in Nuovomondo: grazie alla baldanza temporale del cinema è riuscito davvero a tornare in Sicilia. È questa l’ultim’ora che molti (tra cui noi) auspicavano.
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