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Terraferma

Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film

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maurizio73

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La recensione su Terraferma

di maurizio73
4 stelle

Famiglia di pescatori lampedusani riconvertono la loro tradizionale attività marittima nelle più redditizie attività dell'accoglienza turistica ma vengono coinvolti, loro malgrado, nella tragedia degli sbarchi clandestini sull'isola, facendosi carico di dare ospitalità e di nascondere alle autorità una giovane madre che aiutano prima a partorire, poi a fuggire per raggiungere il marito da anni immigrato nel nord dell'Italia. Finale emblematico.
Dire che Crialese sia un cattivo regista sarebbe quanto meno ingeneroso anche per via di una indiscussa abilità tecnica e nella capacita di tradurre in una effica messa in scena le affabulazioni narrative di storie che si dipanano sapientemente tra realismo dei caratteri e universalità delle tematiche (l'insularità, la condizione sociale e umana, l'emigrazione, le radici culturali, etc.). Tuttavia, come spesso accade nel cinema 'nostrum', le velleità produttive e artistiche di singoli autori riducono l'originalità di soggetti interessanti ad una modesta elaborazione cinematografica per via di un controverso accentramento di ruoli e professionalità che altre realtà produttive tendono più saggiamente a tenere separate. Anche questa co-produzione italo francese, nata sotto l'egida di un sostanzioso contributo governativo, non fa difetto a questa regola dove soggetto, sceneggiatura e regia sono curate direttamente dall'autore romano (di origini siciliane) e dove si ravvisa un evidente scarto tra le ottime intenzioni di una vicenda esemplare e la sua messa in opera secondo un registro che asseconda furbesche banalità ideologiche, irrilevanza psicologica dei personaggi e una irritante propensione verso un simbolismo d'accatto tra elegia e metafora ad uso e consumo del pubblico festivaliero (migranti spiaggiati come cetacei agonizzanti tra gli ombrelloni e i cocktails dei turisti, il tuffo di gruppo da una imbarcazione stracolma di festanti e spensierati gitanti, la scena della misericordiosa natività di una dolente Madonna nera, poveri migranti boccheggianti battuti come tonni nella disperata mattanza di un soccorso negato). Questa incongruenza formale tra cronaca (e critica) politica e sociale, banalità da fiction televisiva e le velleità di un cinema 'alto' sono il principale difetto di un film che predica bene e razzola malissimo, finendo con l'improbabile e didascalico epilogo di un primitivo e giovane autoctono orfano di padre che non spiccica l'italiano (strano che i suoi parenti lo parlino correntemente) e che fa ammenda della sua crudele disumanità portanto in salvo la giovane madre e i suoi bambini dall'altrettanto disumana empietà della burocratica applicazione di una legge xenofoba; una fuga verso una Terraferma quale insicuro porto da cui salpare o miraggio di salvezza verso cui approdare. Tra attori impresentabili (un Claudio Santamaria fuori ruolo), grossolane promesse (il 'verghiano' personaggio di Filippo Puccillo) e un significativo recupero professionale (Beppe Fiorello torna finalmente a fare l'animatore turistico!) è un film che ha goduto di una scontata quanto immeritata ribalta 'iridata' vincendo il Leone d'argento (Gran premio della giuria) alla 68° edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia e due Nastri d'Argento. Bella comunque la fotografia di Fabio Cianchetti. Parabola turistico-umanitaria ai tempi della Bossi-Fini.

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