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Terraferma

Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film

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La recensione su Terraferma

di OGM
8 stelle

L’immigrazione clandestina come l’abisso della civiltà. Una creatura mostruosa, che viene dal mare, per impressionare la mente e scuotere le coscienze. La ragione non regge di fronte alla contraddizione tra le leggi dello stato e i principi dell’umanità, tra l’istinto di sopravvivenza e il dovere di soccorrere chi è in difficoltà. Un nuovo insospettato far west si è insediato al largo delle coste siciliane, dove la regola vigente è lasciare morire per non essere uccisi, e per non perdere tutto. Ernesto ha raccolto un gruppo di profughi africani che si erano buttati dalla loro imbarcazione fatiscente e sovraccarica: come conseguenza immediata, il suo peschereccio, con cui la sua famiglia si guadagnava da vivere, è stato posto sotto sequestro dalla Guardia di Finanza, e lui è stato denunciato. La solidarietà è una complicazione burocratica, che i divieti cercano di annullare, e non c’è emergenza che tenga. Quei disperati che affrontano mesi di cammino e settimane di navigazione in condizioni precarie sono considerati intrusi, da prendere con le pinze e rispedire indietro. Una moltitudine anonima in cui le identità individuali scompaiono: una informe massa di carne scura che deturpa il paesaggio e ne infesta la tranquillità da cartolina. È troppo facile spostare il marchio dell’orrore dalla causa all’effetto, dall’origine del fenomeno e dal modo in cui viene affrontato all’immagine di coloro che di tutto ciò sono solo le vittime. È brutto vedere quei naufraghi, quegli essere spiaggiati nel bel mezzo di un lido affollato di villeggianti. Uomini, donne e bambini trattati come rifiuti da smaltire. Chi non ci sta, rischia grosso. Ma anche assistere impotente a quello scempio è una faccenda per stomaci forti. Il giovane Filippo conosce la crudeltà del mare, che si è portato via suo padre. È abituato all’idea di una vastità misteriosa che inghiotte anime e nasconde tesori. Per quel ragazzo, che non si è mai spostato dal suo piccolo scoglio natio, quella distesa azzurra è l’universo che prolunga il suo minuscolo mondo verso l’infinito. Non ci può essere costrizione se l’orizzonte è sgombro. Filippo, diversamente da sua madre, non sente il bisogno di mettere radici altrove, sulla terraferma, quel posto immaginario che, nei sogni di lei, è  una fonte di migliori opportunità. La terra, al contrario, può essere un luogo maledetto, arido e infido che ingolfa il pensiero di folli speranze, per poi respingere ed umiliare coloro che l’hanno tanto desiderata. Anche chi vi abita da sempre ne vuole fuggire: come i milioni di turisti che, d’estate, abbandonano le città dell’interno, Padova, Arezzo, Milano, per cercare la libertà su un bagnasciuga lambito dalle onde. La sabbia, sotto i loro piedi, è polvere nera, perché è nata dalle fauci infuocate di un vulcano: è una scoria di inferno, però è stesa sulla soglia di un paradiso assolato. Si può rivolgere lo sguardo altrove, verso i miraggi esotici di una vacanza lontano da casa, e si può fingere di non vedere, in quella meta di gitanti in prendisole, il drammatico approdo di un viaggio che attraversa il confine tra la vita e la morte. Per molti, quello è il punto in cui la salvezza arriva per un soffio, o sfuma all’ultimo minuto, per un tragico gioco del caso. Altrettanto labile è la separazione tra giustizia e miopia, tra rettitudine e cinismo. Questa storia si incunea in quell’impercettibile fessura, con la forza ruvida e sanguigna della gente di mare. Nel mondo globalizzato, la modernità produce i suoi dilemmi, che, laggiù qualcuno, incautamente, risolve ascoltando la voce del cuore.  

 

Questo film è stato inviato a rappresentare l’Italia agli Oscar 2012.

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