Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
L’immigrazione, il diritto/dovere all’accoglienza, l’umanità (o la sua mancanza), la fratellanza dei popoli, l’arroganza delle istituzioni. C’è tanto di “giusto” e “necessario” in questo film, una rete di tematiche che è opportuno e virtuoso far conoscere, ad occhi e cuori che sulla (inseguita) ignoranza hanno eretto imponenti mura entro cui confinare il proprio benessere. E le proprie paure.
Ma l’urgenza di affrontare tali (s)velate realtà può giustificare un racconto per certi versi approssimativo e lacunoso?
A Crialese è impossibile non riconoscere uno sguardo potente e “internazionale” (e perciò atipico per l’attuale produzione italiana) per immagini e suoni e per la loro multiforme combinazione: si pensi ad esempio a quel sotterraneo, grave, inquietante “lamento” sonoro che pare nascere dagli abissi marini e dirigersi verso l’alto, a guardare, minaccioso e angosciato, ciò che accade in superficie. Oppure all’ostica melodia di un dialetto stretto proferito da facce espressive, vive e vissute, d’altri tempi. Facce come quella del giovane protagonista, Filippo (Filippo Pucillo), eccezionalmente naturale, e come il volto, appartenente a epoche remote di valori dimenticati e di poche (ma importanti) parole, dell’anziano capofamiglia Ernesto (uno straordinario Mimmo Cuticchio). E splendida è pure la scena finale: la barca, tolta alle leggi degli uomini (“qua le cose sono cambiate” avverte l’impettito e intransigente finanziere, e un brivido corre lungo la schiena …), che solca acque torbide come l’animo umano alla volta di un orizzonte ignoto, la terraferma.
Anche se, in nome di una forza espressiva lirica, avrebbe, a mio avviso, potuto/dovuto osare di più; in tal modo avendo il giusto distacco da una narrazione doverosa e sentita che, per giunta, ne avrebbe guadagnato in fluidità e profondità.
Laddove il film, imperdonabilmente, affonda è nella sceneggiatura: debole ed eccessivamente semplicistica; un’eruzione (incontrollata) di modelli ovvi e stereotipati, con personaggi superficiali e “monocromatici” suddivisi schematicamente (e in maniera poco brillante) in fazioni elementari (i vecchi pescatori, i buoni; i tutori dell’ordine, i cattivi; gli isolani, gente perbene; i turisti, stupidelli; l’imprenditore, furbetto e attratto dal moderno e cafone senso di prosperità) e che hanno inoltre uno sviluppo più che prevedibile (vedasi il rapporto tra la donna africana ospitata in casa e la padrona della stessa, Giulietta, interpretata dalla Finocchiaro). La realtà non è così facilmente incasellabile in rigide (e comode) colonne comportamentali/sociali, suvvia …
Anche i dialoghi talvolta sfiorano il pelo dell’acqua stagnante delle fiction nostrane. Da cui paiono provenire i tre “alieni” settentrionali vacanzieri. Qualcosa non è a fuoco con la loro presenza, che appare, così, solo riempitiva, scevra dai risvolti che evidentemente si desiderava includere.
E poi, d’accordo che il saggio pescatore obbedisce prima di tutto alla “legge del mare” e quindi non ha mai lasciato nessuno abbandonato allo stesso, ma perché portarsi a casa un’immigrata e per di più partoriente? Ma da qua si svolge tutta la storia, quindi …
Va da sé che molto del peso è sulle spalle degli attori e sulla loro interpretazione e capacità di comunicare. Stante quanto detto sopra su Pucillo e Cuticchio, una discreta prova viene fornita da Claudio Santamaria (nel breve ruolo del comandante della guardia di finanza), mentre il re delle miniserie televisive Beppe Fiorello, con la sua (assenza di) espressività è funzionale per la parte assegnatagli. Discorso a parte merita Donatella Finocchiaro, non che sia scarsa, per carità, ma - opinione del tutto personale e discutibile -, dà l’impressione d’esser sempre in posa, come a dire: <<oddio, quanto sono mediterranea! e quanto sono brava a fare la sofferente! ma sempre restando così tanto mediterranea!>>.
Concludendo, a Terraferma e a Crialese sono stati tributati onori esagerati, al di là dell’effettivo merito. Sarà per i temi, per il contesto, per l’attuale situazione socioculturale ed economica (non certo rosea), o per il “bisogno” di vedere il cinema italiano ai livelli di un passato ormai lontano. Il tempo dirà dove collocare quest’opera.
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