Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
Le reti dei pescatori possono pescare corpi umani, invece di pesci, che ultimamente nel mare risultano essere meno numerosi dei disperati che cercano con viaggi al limite della sopportazione umana, di trovare un futuro migliore.
La “Terraferma” risulta essere lontanissima, sia per chi cerca di raggiungerla a bordo di un barcone da terre lontane ma vicine, sia per chi abita su uno “scoglio” in mezzo al mare, e cerca di vivere sfruttando le bellezze dell'isola, e i pochi pesci che il mare ancora offre.
Una famiglia di pescatori, cerca di sopravvivere come può, con un vecchio nonno ancorato alle vecchie leggi del mare, un nipote affezionato che si affaccia alla vita in modo ingenuo e sprovveduto, fuori dal tempo, sua madre, vedova da 3 anni, che cerca di dare un futuro migliore al figlio, cercando di portarlo via da quell'isola troppo bella ma misera. Il cognato è la versione moderna di chi cerca di rimanere in maniera imprenditoriale, inventandosi come animatore turistico di una piccola spiaggia, cercando di tenere lontana la realtà degli sbarchi clandestini da quella dei turisti che arrivano numerosi nei mesi estivi.
La luce del film, il mare che sovrasta continuamente quasi ogni scena, dal profondo, dalla superficie, con mille riflessi, il dialetto siciliano stretto che si fonde con la natura dell'isola, rende soprattutto la prima parte del film molto coinvolgente. Filippo, il nipote ventenne, che vuole rimanere, sull'isola, che non vuole raggiungere la terraferma, è il perno sul quale gira tutto il film: il nonno, lo zio e la madre, cercano in lui le risposte per avere una conferma alle loro scelte. Il nonno che gli trasmette le antiche leggi del mare, la madre che lo convince a trasformare la propria casa in una dimora per i turisti, lo zio che si vuole sostituire al padre, insegnandogli a difendersi, ad essere “il primo a colpire” quando viene offeso. Filippo, nella sua ingenuità e schiettezza, si lascia trasportare dall'affetto che nutre per i suoi parenti, più che dai propri desideri e convinzioni.
Arrivano i tanto attesi turisti, dalla terraferma, che portano quel poco di ricchezza e lavoro nei mesi estivi, ma con loro, su altri tipi di imbarcazioni, cominciano ad arrivare anche i barconi dei clandestini. Proprio uno di questi barconi viene incrociato dal peschereccio del nonno di Filippo, che senza pensarci troppo, andando contro la legge che vieta di imbarcare i clandestini a bordo, salva dal mare 5 persone, tra cui una donna incinta e suo figlio di circa 10 anni.
La donna, che risulterà essere etiope, partorisce nella cucina improvvisata di Giulietta, la madre di Filippo. Disperati che aiutano altri disperati, questo racconta il film, dove i turisti appaiono essere i veri stranieri della situazione. Il legame che lega le due donne, che hanno in comune il desiderio di portare i propri figli in una realtà migliore, è molto fragile e forte allo stesso tempo. La Paura di essere scoperti dalla polizia, il sequestro del peschereccio da parte della guardia di finanza, i contrasti che iniziano a farsi largo nel cuore di Filippo, forse troppe cose nella seconda parte del film iniziano ad affiorare, ma che comunque riescono ad essere contenute bene a livello emotivo, senza pasticciare troppo. Molto bella la scena in cui Filippo porta i 3 ragazzi turisti che abitano nella sua casa, a fare una gita sull'isola in motorino, invece di portarli subito al mare, come loro vorrebbero, li fa arrampicare su una rupe astiosa, dove il caldo è afoso e appiccicoso, per mostrare loro degli animali da cortile legati alla catena, i 3 ragazzi non comprendono e lo pregano, infastiditi di portarli subito al mare. Filippo è legato alla sua terra come quegli animali.
Il finale è drammatico e molto toccante, i corpi dei clandestini disperati in mare arrivano sfiniti sulla spiaggia dei turisti, e sono come degli schiaffoni, per chi li pensava una realtà lontana dalla propria settimana di ferie. Filippo capisce che deve scappare, la “Terraferma” risulterà essere il suo peschereccio, che con una ultima bellissima ripresa dall'alto, ricorda la scena finale del bellissimo “L'atalante” di J. Vigo.
Un cast riuscito, con una Donantella Finocchiaro davvero centrata come giovane madre, e un giovane e un bravissimo Filippo Pucillo, che riesce a trasmettere tutte le contraddizioni che possono esistere in una condizione fatta di bellezza, miseria e genuinità. Avevo qualche titubanza nella scelta di Beppe Fiorello, che non mi piace particolarmente, ma che invece qui risulta davvero convincente, in una parte che finalmente lo fa uscire dagli stereotipi televisivi ai quali ci ha abituati.
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