Regia di Emanuele Crialese vedi scheda film
Finalmente, al terzo tentativo, Crialese fa centro, realizzando quello che, fino ad ora, può dirsi il suo film più riuscito. Abbandonando svolazzi, poeticismi, velleità, ma rimanendo fedele alla propria inconfondibile poetica/estatica, il regista siciliano asciuga la complessa materia narrativa e tematica, pervendendo ad un risultato insolitamente compatto: non un'inquadratura di troppo, non un movimento di macchina fine a se stesso, non un'esibizione di capacità. Ogni espediente stilistico è qui finalizzato all'espressione: valga per tutti il mesto, sofferto, accorato carrello della compassione, che prima accarezza i volti esausti dei migranti africani, poi il travaglio della donna etiope e infine il riposo della famiglia al termine del parto. Una componente sempre presente nel cinema di Crialese, che qui si dispiega finalmente in tutta la sua implosa potenza, è quella dimensione da "epica sotterranea", anzi "subacquea", visto il contesto: dalla calma piatta di un cinema apparentemente intimista, minimalista, provincialista, tutto conchiuso nel microcosmo arcaico di un'isola del Mezzogiorno, emerge la Storia, con le sue fughe in avanti, o semplicemente altrove, coi suoi desideri e le sue speranze, ma soprattutto coi suoi conflitti e le sue tragedie. Qui la Storia non è, come un Nuovomondo, quella che ha portato oltreoceano i migranti italiani un secolo fa, ma è l'esatto contrario: "Una volta in questo mare si pescavano pesci: ora si pescano uomini, vivi o morti", ed ecco che il presente, con tutta la sua forza drammatica, invade la bellezza eterna di una Natura che si credeva inviolabile. E' ammirevole come Crialese riesca a bilanciare alla perfezione una materia narrativa così composita: il conflitto fra tradizione e modernità, incarnato dalla testardaggine del nonno e del nipote nel proseguire l'attività col vecchio peschereccio a fronte del pragmatismo dei figli; la grottesca situazione di una località dove ingenui turisti settentrionali paiono non rendersi nemmeno conto del dramma dei clandestini; infine, il paradosso di forze dell'ordine obbedienti ad una legge che impedisce alla gente comune di fornire solidarietà, aiuto ed ospitalità (bellissima anche la sequenza al ralenti dei soccorsi sulla spiaggetta, con l'arrivo inesorabile dei Carabinieri, riconosciuti dal dettaglio dei pantaloni d'ordinanza). Tutti i personaggi sono definiti con lucidità e spessore: in particolare, spiccano il vecchio e la madre. Il primo, con il suo rigoroso rispetto della "legge del mare", si presenta ostile all'idea di raggiungere la "terraferma": cambierà idea quando si tratterà di aiutare una persona in difficoltà. La seconda, così decisa ad affrontare la modernità, troverà quest'ultima non in una nuova vita sulla "terraferma" (come avrebbe desiderato), ma in un difficile confronto con un'altra madre come lei, solo di pelle più scura.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta