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Sotto il vestito niente. L'ultima sfilata

Regia di Carlo Vanzina vedi scheda film

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La recensione su Sotto il vestito niente. L'ultima sfilata

di mc 5
2 stelle

Prima di tutto è bene chiarire (soprattutto a me stesso) cosa mi ha spinto alla visione di un film curato da due cineasti coi quali non ho mai avuto un buon rapporto. Diciamolo pure, che i fratelli Vanzina, anche nel loro momento di massimo splendore e popolarità, hanno prodotto un cinema che non ho mai apprezzato. Non conosco a fondo la loro opera completa, ma suppongo che a renderli popolari abbia contribuito in modo determinante proprio quell'originario "Sotto il vestito niente" del 1985 (ebbe un seguito diretto da tale Dario Piana ma del tutto irrilevante). Ed eccoci oggi di fronte a questa "reprise" che ci coglie probabilmente di sorpresa. Alcune considerazioni. Il primo episodio, di cui personalmente la mia memoria ha rimosso il contenuto, si proponeva (secondo dichiarazioni dagli stessi Vanzina) come tributo al memorabile "Omicidio a luci rosse". Ecco, questa cosa già dovrebbe indurre al sorriso, essendo abissale la differenza tra il thriller capolavoro di un Maestro come Brian De Palma e un B-movie rabberciato quanto inutilmente pretenzioso. L'unico valore di quel film stava nel tentativo (a mio avviso comunque goffo) di fotografare un aspetto primario di quei "famigerati" anni 80, vale a dire la Milano gaudente dei politici socialisti e delle sfilate di moda (nel film però i primi erano assenti o appena accennati). Quindi anche lo sfarzo esibito di un mondo infaticabile come quello degli stilisti, narcisi e onnipotenti, e poi questo pullulare di vite spesso al limite, condotte a ritmi vertiginosi grazie al supporto dell'immancabile cocaina. Ma di quella Milano degli anni 80, quel film non voleva essere una denuncia dolente e appassionata, anzi, per quel pò che la memoria mi concede di ricordare, il film dei Vanzina ci si collocava proprio al centro, non dico con compiacimento ma probabilmente sfruttando commercialmente uno sfondo tra i più disgustosi e corrotti della società italiana degli ultimi decenni. Da allora sono cambiate tante cose. Troppe per giustificare una "ripresa" condotta attraverso lo sfrucugliamento del medesimo ambiente e dello stesso materiale umano. Poco plausibile l'insistenza nel voler mettere a fuoco vite perdute di modelle algide e cocainomani e dei loro mecenati sessualmente ambigui e soprattutto avidi. Io (grazie a dio) non ho frequentazioni in quell'ambiente, e dunque non posso dire se le cose siano mutate e in quale misura, tuttavia appare anacronistico riproporre pari pari certi stereotipi. Anche perchè sappiamo che la "Milano da bere" si è miseramente sfaldata sotto i sacrosanti colpi di piccone dei magistrati di Mani Pulite. Così come sappiamo che malaffare e corruzione oggi si sono spalmati in altri modi nella Società, nella Politica, nel Costume. E dunque analizzare certi ambienti utilizzando i medesimi stereotipi del 1985 è operazione sbagliata e poco intelligente. Oggi è tutto molto più complesso e un thriller di questo genere richiedeva una capacità d'analisi e un livello di sceneggiatura dei quali i Vanzina non sono all'altezza, neppure con tutta la loro esperienza e professionalità. Provate a chiedervi il perchè oggi nessun produttore o regista vuole cimentarsi con l'attualità bruciante, raccontando di giovanissime "veline" disposte a tutto pur di sfondare nel mondo televisivo, disposte anche a compiacere politici importanti di governo. Semplice: perchè il duopolio Rai-Mediaset (che controlla il Mercato) non lo permetterebbe. E allora è molto più agevole raccontare di modelle e cocaina, di sfilate e Signori della Moda, secondo un'ottica ferma a trent'anni fa. Oggi la corruzione e il perseguire successo e vita facile implicano altri percorsi, e allora, nell'attesa (probabilmente vana) che qualche produttore finanzi una bella fiction che faccia luce spietata sul caso Ruby o sulle mignottelle dell'Olgettina, becchiamoci pure questa storiellina fasulla su un padre-padrone della Moda che determina ascesa e caduta di improbabili top model scandinave. E ci è andata già bene che per la colonna sonora ci si è affidati al veterano Pino Donaggio anzichè ai Duran Duran!  Ma mi rendo conto che l'interrogativo che delineavo all'inizio ("perchè sono andato a vedere un film che intuivo non mi sarebbe piaciuto e oltretutto realizzato da cineasti che non ho mai amato?") non ha ancora avuto risposta. Provvedo immediatamente. I due fratelli Vanzina in ogni intervista promozionale hanno tenuto ad enunciare un concetto importante, quasi coi toni della "denuncia". Cioè hanno lamentato di un cinema italiano oramai dedito esclusivamente alla commedia comica e in cui nessuno osa più rischiare investendo sul cinema di genere, dal thriller all'action...Appena ho letto queste loro dichiarazioni, ho realizzato che esse erano musica per le mie orecchie. Io che, e chi mi conosce ne è testimone, sto portando avanti da mesi una mia personale battaglia critica esattamente in questa direzione. Ecco perchè mi sono precipitato al cinema, per avere un reale riscontro alle suddette dichiarazioni. E qui è cascato l'asino. Scusate, cari Vanzina: voi mi esprimete un grido di dolore evocando un inquieto scenario in cui voi, novelli Don Chisciotte, armati di coraggio osate sfidare le tendenze del mercato...e poi investite soldi ed energie in un film la cui rara bruttezza stenderebbe anche un cavallo? Ma allora, cribbio, almeno state zitti e non fate gli eroi! Voi, cari Vanzina, disponete di un potere contrattuale che vi permette di realizzare non un film di serie B, ma un prodotto competitivo che può uscire in centinaia di copie e scalare il box office. Però i soldi non bastano, se non ci sono sceneggiature che stanno in piedi e dei bravi attori. Voi, invece, entrate sul mercato con un B-movie scalcagnato e improponibile, che racconta una storia che di attuale non ha nulla e per giunta avvalendovi di attori che definire "cani" è far loro un complimento?? In sostanza un brutto B-movie però prodotto con capitali e promozione da "film importante". L'operazione peggiore che i Vanzina potessero fare. Sapete che penso, amici Vanzina? Che siete due cineasti ormai bolliti ed incapaci di "raccontare il nostro tempo", prerogativa quest'ultima che dovrebbe primeggiare nella coscienza artistica-civile di ogni regista consapevole. Naturalmente non mancheranno coloro che plaudiranno al tentativo di far rinascere il cinema di genere. A costoro (che umanamente spesso appaiono come ridicole macchiette abbarbicate ai miti di Lilli Carati o Lory Del Santo o Renzo Montagnani etc etc) vorrei dire che negli ultimi anni le riproposizioni  SERIE (non buffonate) di un cinema artigianale che affrontasse con dignità il thriller e il poliziesco, si contano su due sole dita: il recente "Vallanzasca" di Michele Placido e "Le ultime 56 ore" del maestro Claudio Fragasso. Due opere al cui confronto la "Milano da bere Versione 2011" dei Vanzina, consentitemi, ci fa una figura di cacca. La vicenda narrata è talmente insulsa che sembra una fiction tv andata in acido. E gli attori? Mamma mia che roba turpe. A partire dal tanto mitizzato Francesco Montanari, qui campione assoluto di umorismo involontario, caricatura di una caricatura, che cammina e parla come una specie di pupo siciliano mosso dai fili di chissà chi. Ma poi ci sono ruoli secondari affidati ad oscuri personaggi (definirli attori proprio non me la sento) a cui ti verrebbe voglia di tirare degli ortaggi. In particolare segnalo la modella mora che s'incazza perchè viene esautorata dallo stilista. Uno si chiede come diavolo faccia a recitare una così, una che non riesce ad articolare con decenza nemmeno una parola. Poi capita che uno si annota il nome di costei (Virginie Marsan) e fa una rapida ricerca su internet, scoprendo che la graziosa signorina è figlia della moglie di Carlo Vanzina. Ah, ecco, ora è tutto più chiaro.
Voto: 2

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