Regia di Shawn Levy vedi scheda film
Nel racconto di Richard Matheson (Steel, 1956, già adattato in Ai confini della realtà) i pugili sono sostituiti da robot, in una società futura che si vorrebbe più evoluta. Levy e Spielberg per la Disney sembrano incredibilmente più pessimisti: gli sport di combattimento più violenti hanno eroso il pubblico della boxe, che però vuole ancora di più, ossia contendenti che possano fracassarsi l’un l’altro senza quisquilie morali. Il tutto in un’America del 2020 messa ancora peggio di quella odierna, con aree dismesse in abbondanza, rancheros razzisti e il pugilato soggiogato da soldi russi e tecnologia giapponese. La cupezza però è tutta nella premessa e rimane un sottotesto, la cui funzione è ridare lustro allo spirito di rivalsa americano, dove il nostro antieroe è un fiero loser che reinstaura il rapporto con il figlio allenando insieme un vecchio robot abbandonato. Tra Rocky e Over the Top in chiave fantascientifica, Real Steel è un favola moderna cui si può voler bene, sia perché c’è vera violenza a fare paura (i pestaggi tra robot permettono più cruenza anche nei film Disney e l’invasamento del pubblico ricorda la Fiera della Carne di A.I. Intelligenza artificiale) sia per l’ironia largamente profusa, con strizzatine d’occhio autoreferenziali su quanto i bambini funzionino col pubblico. Aggiungeteci la faccia eastwoodiana e un po’ da schiaffi di Jackman e il successo è pressoché garantito.
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