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Real Steel. Cuori d'acciaio

Regia di Shawn Levy vedi scheda film

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La recensione su Real Steel. Cuori d'acciaio

di M Valdemar
6 stelle

Così fieramente tamarro, così convenzionalmente consolatorio, così ampiamente scontato da risultare simpatico. E pure divertente. Sì, Real Steel - Cuori d'acciaio si "può" guardare, non è necessario (né, soprattutto, utile) scatenargli contro anatemi o invettive. Non pretende di essere altro che semplice e puro intrattenimento “ignorante” per “ignoranti” (condizione che dovrebbe essere specificamente temporanea, episodica, non permanente quindi - ma questo è un altro discorso).
Metallo pesante, duro, colpi (e corpi) che stridono e sferragliano feroci nelle arene (e nelle sale), aggiungendo nuove facoltà al consueto assordare. Frastuono al frastuono, rumore al rumore, carne all’acciaio. Vero protagonista, assurto a entità semidivina (il cattivissimo e onnipotente robot si chiama Zeus), ma ineluttabilmente destinato a incassare, a piegarsi all’instabile volere dell’uomo, alfine a (de)perire.
Praticamente l’unica variante innestata a quello che è un ossequioso ma precisissimo compendio di sicuri e collaudati clichè, volti a toccare le corde della partecipazione emotiva degli spettatori. Dal rumore all’umore. Quello “giusto”, intriso di buoni sentimenti e rincuoranti evoluzioni.
C'è la storia di redenzione di un uomo, con un passato da fiero boxeur e ora scapestrato allenatore di robot lottatori, che non ha visto crescere suo figlio e all’improvviso se lo trova tra i piedi. C’è questo figlio undicenne saputello e troppo intelligente e amorevole (il balletto che precede la battaglia), il cui unico desiderio è vedere il padre combattere per lui, e che trova nello sfigato - e (letteralmente) sepolto tra le macerie - robot Atom la possibilità di riscatto del genitore. Una trama dagli sviluppi prevedibili ma con un crescendo avvincente quanto codificato, in cui è facile riconoscere frammenti e meccanismi narrativi riconducibili direttamente o indirettamente a un’infinità di pellicole del passato. Tante che si sprecherebbero solo energie (mnemoniche e ottiche) a elencarle e a leggerne. Inservibile nozionismo. Elementari e schematiche metafore unite a semplici simbolismi completano l’opera di attrazione, che si alimenta anche con le irrinunciabili lacrime del finale: la donna guarda combattere come una volta l’uomo che ha sempre amato e un rivolo le solca la guancia; il ragazzino osserva il padre lottare e i liquidi lacrimali gli sgorgano felici. Che bello. In mezzo c’è anche il tempo per un (brevissimo) apologo sulla violenza nella società moderna (la spiegazione del padre al figlio - mentre sono alla fangosa e inquietante "Metal Valley" - sull’avvento degli automi al posto degli uomini sui ring) riveniente dal racconto di Richard Matheson (Steel) su cui è basato il film.
Non mancano naturalmente né cattivi (nell’ordine: un digrignante cowboy; una perfida e potente donna; un geniale ma iracondo orientale) né bellissime donne (la Evangeline Lilly di Lost, purtroppo sprecata in unitile ruolo di insipido contorno; ma anche la modella russa Olga Fonda, la cattiva - alquanto improbabile - di cui sopra).
Insomma c’è tutto quello che occorre per spassarsela (in tutti i sensi); superfluo cercare originalità, creatività, approfondimento dei personaggi, o una qualche congrua e seria riflessione sociale. Su tutto dominano i brutali scontri tra i robot che permettono altresì di non far scorrere nemmeno un goccio di sangue. Geniale.
Giustamente il regista (il mediocre Shawn Levy) cerca di farsi notare il meno possibile, avendo le spalle coperte dalla produzione Spielberg-Zemeckis e da buoni effetti speciali che ben si coniugano alle roboanti musiche di Danny Elfman. La fotografia, appropriata, è di Mauro Fiore.
Levy può contare inoltre sulla solidità e l’efficacia del prestante Hugh Jackman, che per questi ruoli action è perfetto.
Al di là di tutti i limiti e difetti riscontrabili, Real Steel - Cuori d'acciaio è uno spettacolo godibile e agevolmente assimilabile (purché gli effetti si volatilizzino altrettanto rapidamente), con un ritmo calzante ma con le giuste pause; adatto sia ai piccini (tra l’altro il massimo della prurigine è un castissimo bacio tra Jackman e Evangeline Lilly) sia ai più grandi (che non hanno mai dimenticato le "imprese" di Rocky e simili).
Dato il successo al box office USA (e non solo) facile ipotizzare un sequel. C’è decisamente di peggio.







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