Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Il secondo capitolo della (seconda) trilogia dedicata da Peter Jackson ai romanzi di J. R. R. Tolkien continua narrando il viaggio dello “scassinatore” Bilbo Baggins e dei nani verso la città di Erebor. Bilbo affronterà Smaug e ne uscirà vivo, ma non riuscirà a sconfiggerlo, per cui tutto è rimandato al terzo capitolo (ma và?!?!)…
“La desolazione di Smaug” conferma l’impressione di “Un viaggio inaspettato”: il timing di tre ore, che pare quasi una clausola contrattuale quando Jackson si mette dietro la macchina da presa e ha per le mani una sceneggiatura tratta da Tolkien, è un po’ eccessivo, al punto da risultare sovente troppo farraginoso. Anche perché un film col finale in cliffhanger, molto più che annunciato, è sempre qualcosa di difficilmente digeribile (specie quando tronca le vicende proprio mentre la trama respira e lo spettatore si mette comodo sulla sedia dopo un bel po’ di tedio). Certo la tensione c’è (seppur a tratti) e alcune scene interessanti non mancano (in primis la singolar tenzone tra Bilbo e Smaug che fa il paio con quella del primo episodio quando l’hobbit era contrapposto a Gollum); ad essa si alternano però vicende che sanno di dejà vu, ma soprattutto altro poco proponibili (l’arrivo di Legolas in versione botulinizzata, o l’infatuazione tratteggiata con approssimazione tra Tauriel (un’Evangelin Lily splendida come al solito) ed un nano a caso…
Dunque (altra conferma apportata da questo secondo capitolo) le migliori cartucce sulla terra di mezzo sono state già sparate un decennio fa. E ciò che pare essere rimasto è molta ripetitività e qualche riverbero della luce che fu di “Lord of the ring”. Ma soprattutto stanchezza. A partire da chi sta dietro la macchina da presa: svuotato, smunto, appassito, Jackson si ritrova al cospetto di una creatura diventata troppo impegnativa da gestire. Il tutto fa scemare le aspettative per l’ultimo capitolo, che va certamente visto, ma quasi solo per dovere di cronaca…
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