Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Appare fugace, nella prima inquadratura, Peter Jackson; ma il cameo di routine è quasi superfluo, perché il suo volto è quello di Bilbo, suo lo stupore primigenio dello Hobbit che, sbucando dalla cima di un bosco ombroso, vede luce, un tripudio di colori, un lago in lontananza. Jackson sa spalancare lo schermo sulle sue visioni sovradimensionate, facendone una gigantesca versione pop up del romanzo di Tolkien. E in questo cupo e denso secondo episodio, più che nel primo, regala squarci di meraviglioso: l’emergere di Smaug dal sepolcro dorato, la fantasmagoria infiammata in cui si manifesta Sauron, la città sbucata da un immaginario medioevo fiammingo. Momenti che volano alto, imbrigliati da una struttura che, come già in Un viaggio inaspettato, pretestuosamente ricalca il corrispondente episodio di Il signore degli anelli: in questo caso, quindi, Le due torri e la sua narrazione frammentata, spesso inutilmente diluita, su molteplici fronti. La “compagnia del drago” è disseminata nella Terra di Mezzo: Gandalf in solitaria affronta il Male supremo, mentre Bilbo (Martin Freeman, impeccabile in ogni singola posa) e i nani penetrano nella montagna dominata da Smaug. Poi ci sono gli elfi: per un Legolas che ritorna, a esclusivo uso e consumo dei fan della vecchia trilogia, ecco la new entry Tauriel (la pessima Evangeline Lilly) a ripercorrere i passi di Arwen/Liv Tyler in una vacua sottotrama amorosa. Vuole tanto, Jackson, e stringe parecchio, come Smaug: qualcosa, inevitabilmente, gli scivola di mano e rallenta la sua corsa (e la nostra).
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