Regia di Peter Jackson vedi scheda film
Jackson ritorna a Tolkien. Il progetto Hobbit prevede: “elevato minutaggio” (da manuale del blockbuster: che il film non sia un episodio feriale, ma un evento festivo), “struttura a trilogia” (per soddisfare la nostra sete di serialità e attuare un’intelligente economia di scala) e, giusto per non guarire il mondo dalla sindrome Star Wars, un “pernicioso concetto di prequel” (che qui significa forzare il testo d’origine per renderlo coeso narrativamente ed esteticamente ai film della?Trilogia dell’Anello). Il monstrum è servito: 3 film di 3 ore per un romanzo di 350 pagine. Fan ed esegeti confermeranno la vasta gamma di licenze mirate a tracciare rime e rimandi (con l’apoteosi di un finale ricalcato figurativamente su La compagnia dell’Anello) e disquisiranno sull’efficienza degli espedienti utili a sopperire alle falle del rapporto pagine/minuti. Materia da filologi, ma le falle sono inopinabili. L’on the road fantasy di formazione respira affannosamente, tra accelerazioni vorticose e digressioni immobili, e fatica a coinvolgere emotivamente se non con gli alti e i bassi dell’immersione percettiva: i 48 frame per secondo + il 3D a tratti ammutoliscono la meraviglia (l’eccesso di definizione sottrae fantasia alla fantasia, i personaggi paiono cosplayer, gli interni s’avvicinano alla tangibilità scenografica del teatro), a tratti la esaltano in un inedito incanto. Tra pro e contro, è la prima volta di questa esperienza spettatoriale il motivo per andare al cinema.
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